Nè con Palmiro Togliatti nè con Alcide De Gasperi, ma con Riccardo Lombardi. A trent’anni anni dalla cremazione da lui stesso disposta tre anni prima e senza riti religiosi, Lombardi l’acomunista libertario, nonviolento, neutralista e anticapitalista, pur non avendo sfondato in termini elettorali, ha avuto dalla storia, e non dalle istituzioni le più alte, il riconoscimento che gli spetta, dovuto.
Può esser vero che, per usare le parole di Fausto Vigevani, con le sue intuizione Riccardo aveva ragione con dieci anni di anticipo ma che in politica ciò significava avere torto e si spiegherebbero così i suoi fallimenti e le sue sconfitte. Tutto ciò è vero se la storia si scrive [e si legge] sul metro dei vincitori di giornata, delle greche di comando e delle prebende, come bellamente raccontato su Rai Tre nella trasmissione, Correva l’anno.
In tal caso, se la storia si racconta sul metro dei vincitori di giornata, non c’é posto per Lombardi tra i Padri Costituenti: non c’è posto per lui e per altri protagonisti della lotta antifascista: da Vittorio Foa a Piero Calamandrei, da Bruno Trentin a Umberto Terracini, da Ferruccio Parri a Giuseppe Di Vittorio, da Sandro Pertini all’instabile Pietro Nenni, senza scomodare pezzi da novanta: Antonio Gramsci, Piero Gobetti, i fratelli Rosselli, Giacomo Matteotti.
Ma se si va oltre – chiariva Vigevani – non è difficile cogliere l’identità quasi sempre evidente tra i ‘fallimenti’ e le ‘sconfitte’ di Riccardo, con i fallimenti e le sconfitte della sinistra italiana e dello sviluppo della democrazia in tutto questo dopoguerra. Allora i conti non torneranno più! Allora la la politica emerge per quel che è, un qualcosa fatto da uomini per milioni di uomini. Ed è per questo che, osservava Vigevani, di cui è uscito il libro Fausto Vigevani Il sindacato, la politica per Ediesse, nemmeno per poche ore i vincitori [di giornata] possono permettersi che appaia e resti sulla scena oltre il minimo indispensabile.
Meglio allora glorificare ancora una volta il tandem catto-comunista Togliatti-De Gasperi che in nome della pace religiosa elevò a norma costituzionale i famigerati Patti Lateranensi del ’29 tra il Regime fascista e la Chiesa; che in nome della pace nazionale amnistiò gerarchi, giudici (persino Enrico Macis, il giudice istruttore che condannò Gramsci al duro carcere fascista!), magistrati, intellettuali della Razza, docenti e giornalisti, industriali e agrari, che avevano collaborato con il Regime; che in nome dell‘unione nazionale concepì la Costituzione più bella del mondo piena di affascinanti principi ma priva degli strumenti per attuarla. Il passaggio dal terrificante Ventennio alla Repubblica, non segnò l’attesa, agognata rivoluzione liberale ma la continuità con il vecchio e anchilosato parlamentarismo pre-fascista, con la struttura autoritaria – burocrazia, esercito, corporazioni, polizia, stampa – costruita nel Ventennio da Mussolini: lo Stato fascista sotto mentite spoglie continuò a sopravvivere a se stesso grazie all’accordo tripartito tra Pci, Dc e Psiup.
Che ora il Pd di Matteo Renzi cerchi di accoppiare l’oro con la latta, la cultura con l’incoltura, dedicando la storica Festa dell’Unità, il quotidiano fondato nel 1924 dall’eretico Antonio Gramsci che il Migliore servitore di Stalin fece antesignano della via italiana al socialismo che nei fatti fu, è stata la prassi consociativa del catto-comunismo prima e poi del compromesso storico, a Alcide De Gasperi è un insulto alla storia e alla memoria di Nino, ancora una volta tradito e vilipeso.