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Perché il caso dei due Marò fa pochi progressi

Pubblichiamo un articolo di AffarInternazionali

Ennesimo rinvio dei tribunali indiani sulla questione dei nostri fucilieri di marina, trattenuti in India ormai da circa due anni e mezzo. Questo è quanto avvenuto il 31 luglio. Il 4 agosto la Corte Suprema indiana ha poi autorizzato il rinnovo della cauzione a garanzia della libertà provvisoria dei due Marò.

La Corte speciale che era stata incaricata dalla Corte suprema indiana di giudicare il caso si è aggiornata al 14 ottobre 2014 a causa dell’indisposizione di uno dei giudici. Qualcuno, a quanto sembra a livello governativo, ha affermato che si tratta di un mero fatto tecnico. Altri hanno scritto che il rinvio gioca a nostro favore.

Nei fatti, la questione dei Marò sta cadendo nel dimenticatoio, sommersa da altre notizie internazionali (Libia, Gaza, Ucraina, etc.). Non si capisce bene come si stiano muovendo la nostra diplomazia e le autorità di governo. Che cosa stanno facendo? L’opinione pubblica vuole saperlo e non mi sembra che, in questo caso, la riservatezza sia l’arma della buona diplomazia.

Attualmente sulla questione dei Marò sono pendenti in India quattro procedimenti, tre dinanzi alla Corte suprema, uno dinanzi alla Corte speciale. Addirittura è stato presentato dal proprietario del peschereccio, colpito secondo la tesi dell’accusa dai nostri Marò, un ricorso volto a statuire l’incompetenza della Corte speciale e a riportare il caso dinanzi ai tribunali del Kerala.

Dopo De Mistura, la fase dell’internazionalizzazione

Con grande clamore era stato annunciato dal nuovo governo e dai ministri degli Esteri e della Difesa una “nuova fase”. Dato il ben servito a Staffan De Mistura, che aveva praticamente seguito la vicenda fin dalle origini, la nuova fase sarebbe consistita nell’internazionalizzazione del caso, sia a livello diplomatico sia a livello giurisdizionale internazionale, con l’eventuale ricorso all’arbitrato.

L’internazionalizzazione a livello diplomatico non ha finora fatto registrare iniziative incisive. Uno dei punti su cui ha insistito l’Italia è quello dell’immunità funzionale dei due Marò, in quanto organi dello stato italiano. Tesi cui il sottoscritto crede fermamente, ma non pacifica (tra l’altro disconosciuta, sia pure in altro contesto, dalla nostra Corte di cassazione in una recente sentenza).

La Presidenza italiana dell’Unione europea (Ue) è iniziata senza che il Presidente del consiglio o il Ministro degli affari esteri abbiano fatto della questione dei Marò una priorità, quantunque la lotta alla pirateria interessi tutti i paesi membri. Della questione dell’immunità funzionale si sta occupando la Commissione del diritto internazionale (Cdi), organo di codificazione delle Nazioni Unite.

Ebbene, non sembra che la tesi dell’immunità funzionale sia stata adeguatamente affrontata nella VI Commissione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite, dove vengono discussi i progetti della Cdi, tranne qualche sporadico intervento.

Della scarsa attenzione dedicata dalla nostra diplomazia alla tesi dell’internazionalizzazione è stato di recente testimone anche chi scrive, che era stato chiamato, in quanto esperto indipendente, a relazionare sulla questione delle Compagnie militari di sicurezza private nell’ambito del corrispondente Gruppo di lavoro presso il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni unite a Ginevra.

Avendo il sottoscritto trattato il tema sotto il profilo del personale imbarcato su navi commerciali in funzione antipirateria, sarebbe stato facile per il rappresentante italiano (silente) sollevare la questione del personale militare e dell’immunità funzionale. Niente di tutto questo è stato fatto.

Tra arbitrato e inchiesta internazionale

La scelta dell’arbitrato, più volte evocata come una delle possibili soluzioni dell’internazionalizzazione della vicenda, langue. Sulle insidie e, soprattutto, sui tempi lunghi che questa soluzione comporta ci siamo già espressi e non è necessario ripetersi.

Una volta promosso l’arbitrato, disciplinato dall’Annesso VII alla Convenzione sul diritto del mare, sarebbe anche possibile, come misura provvisoria, chiedere al Tribunale internazionale del diritto del mare, l’invio in Italia dei due Marò, in attesa che si pronunci il tribunale arbitrale. Soluzione possibile, ma non certa.

La questione dei due Marò è complicata, sotto il profilo tecnico, dall’incastro tra competenze dell’esecutivo e competenze dei tribunali, di non facile soluzione in uno stato dove vige il principio della separazione dei poteri. Probabilmente anche per l’India la controversia si trascina ormai da troppo tempo.

Occorre quindi trovare, a livello diplomatico, un meccanismo che, nella salvaguardia del principio della separazione dei poteri, consenta di addivenire a una rapida soluzione della questione. Questo potrebbe concretarsi in una Commissione d’inchiesta di cui esistono molti precedenti nel campo marittimo.

L’accordo dovrebbe consistere nel far rientrare i Marò in Italia, con l’obbligo di punirli qualora l’inchiesta accertasse che effettivamente essi siano responsabili dell’uccisione dei pescatori indiani. In tal caso verrebbe in considerazione anche il risarcimento del danno alle famiglie. Ma questo è già stato corrisposto, sia pure a titolo “grazioso”, senza cioè ammissione di responsabilità alcuna da parte italiana.

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Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (LUISS Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.


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