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Perché quel patchwork chiamato Montebourg è stato giustamente silurato da Hollande e Valls

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori pubblichiamo l’analisi di Pierluigi Magnaschi, apparsa sul quotidiano Italia Oggi.

Per non vedersi più tra i piedi il suo ministro dell’economia Arnaud Montebourg (nella foto), il premier francese, il socialista Manuel Valls, d’intesa (si fa per dire) con François Hollande, il pasticcione che fa il presidente della Francia, ha dato le dimissioni ed ha subito riformato il governo escludendone però, appunto, il precedente ministro dell’economia che è un incrocio fra Fausto Bertinotti, Nichi Vendola, Matteo Salvini e, per paradossale che possa sembrare, Giulio Tremonti.
Montebourg, più che un leader, è un patchwork, un mosaico, per di più raffazzonato. Egli infatti ha buone conoscenze economiche che però sono impasticciate in un delirio ideologico d’altri tempi che lo porta, ad esempio, a pensare di poter impedire la mondializzazione dei problemi e quindi anche le soluzioni che si debbono dare ad essi.

Montebourg ha persino coniato il termine “dèmondialisation”, demondializzazione, credendo (o fingendo di credere) che sia un programma di lavoro. Non a caso, il settimanale Le Nouvel Observateur, che pure è un giornale socialista radicale da sempre, lo definisce un “donchisciotte”, uno cioè che se la prende con i mulini a vento ma che, grazie a questo suo disinvolto anticonformismo, è riuscito anche a prendere il 17 per cento dei consensi nell’ultimo congresso del partito socialista francese e adesso, dopo essere stato sbattuto fuori dal governo ed avendo ripreso in pieno la sua libertà di manovra, si appresta a correre per le presidenziali del 2017. A queste ultime, se riuscirà ad arrivarci, il presidente Hollande, suo antagonista da sempre, sarà uno straccio, visto che già adesso può contare sul solo sostegno del 16 per cento dei francesi.

Montebourg è così caricaturalmente di sinistra che finisce per sostenere, in base all’inossidabile principio che gli opposti si toccano, un programma di estrema destra. In quanto anti-mondialista (come se fosse possibile esserlo, nel 2014, nell’epoca del web e dell’economia elettronica) egli sogna una Francia nazionalista, protetta dai suoi confini, innamorata dei suoi prodotti, in delirio per il “made in France”, anzi, pardon, per il “fabriquè en France”. E queste idee preistoriche (suo, ad esempio, è lo slogan della “vigilanza patriottica”) Montebourg, non solo le declama la domenica nei suoi comizi nella Francia profonda, che è quella che a lui piace, quella dei clocher, dei campanili, davanti a un bicchiere di Pastis, ma le ha anche applicate nella sua attività di governo. E’ riuscito infatti a far approvare una legge (poi inevitabilmente disapplicata) che avrebbe dovuto vietare le delocalizzazioni. E, mentre tutti gli altri paesi del mondo fanno le contorsioni pur di riuscire ad attirare i capitali stranieri, Montebourg vede questo salutare processo come se fosse una diavoleria.

Infatti, ad esempio, l’ex ministro francese dell’economia ha persino minacciato di nazionalizzare lo stabilimento siderurgico di Florange che è degli indiani di Mittal. E ha fatto approvare uno scudo contro gli investimenti stranieri in settori da lui definiti strategici come l’energia, i trasporti, le telecomunicazioni, l’acqua e la sanità, praticamente tutto. Ha inoltre cercato di fermare anche la vendita di Alstom all’americana General Electric ma non c’è riuscito completamente, visto che quest’ultima è riuscita comunque a entrare nel capitale della società francese. Trovando la porta chiusa da Montebourg, GE è entrata dalla finestra con il plauso dell’Alstom, che dispone di un management sa fare i conti e i programmi. Poi, da dentro, lo si vedrà presto, GE si aprirà anche la porta, come vuole, del resto, la fisiologia economica.

Il nazionalismo compulsivo di Montebourg lo ha portato persino a criticare il presidente della repubblica, Hollande, quando fu sorpreso dai fotografi mentre andava a trovare la sua fidanzata nascosta, Julie Gayet. Egli allora criticò il presidente della Repubblica transalpina, non per la sua scappatella sentimentale, come fecero tutti, ma perché c’era andato con un scooter Piaggio. In quell’occasione infatti, Montebourg sottolineò gravemente che Hollande “avrebbe dovuto usare un modello simile che è prodotto dalla francesissima Peugeot”. Va bene che Montebourg ha il dente avvelenato contro Hollande (che è il padre dei figli di Segolène Royal), ma la battuta resta significativa di una visione. Quando Montebourg curò, nel 1997, la sfortunata campagna presidenziale di quest’ultima, affermò che “Sègolène Royal ha un solo difetto: il suo compagno”. E poi fu costretto a dimettersi perché Hollande era allora il segretario del Pse.

E’ chiaro che uno come Montebourg non poteva sedere più a lungo nel governo Valls che, da popolarissimo ministro dell’interno qual era, era stato nominato premier da un Hollande in caduta libera, proprio perché modernizzasse il paese. Nel suo machiavellismo da strapazzo, Hollande gli aveva però messo fra le costole Monteburg (che pure odia) solo per impedire che Valls prendesse il volo. Il risultato di questa inimmaginabile contorsione politica, è stato che Valls, nel giro di soli due mesi, ha perso ben 15 punti di popolarità (Istituto demoscopico Ifop). Nel frattempo, in Francia, non solo si è bloccata la crescita del Pil ma essa sta sforando un’altra volta il vincolo del 3% (quest’anno sarà ben oltre il 4%) e si appresta a implorare alla Ue un’ulteriore deroga, anche nel 2015, per il rientro nei parametri. Ecco perché Valls ha messo al muro Hollande e le sue piroette. Gli ha infatti detto, a brutto muso: “O fuori Montebourg o mollo io”. Hollande, a questo punto, non ha potuto che autorizzare l’espulsione di Montebourg. Per Valls, viene a meno un freno ma restano, irrisolti, i molti problemi economici. Che non sono da poco.

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