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Prescrizione e frustrazione sociale. Interessi a confronto.

La discussione sulla riforma della giustizia del consiglio dei ministri più pubblicizzato dal dopoguerra sta entrando nel vivo e si torna a parlare, fra l’altro, di prescrizione.

Solitamente si ritiene che la prescrizione del reato sia una questione di civiltà. Non appare ammissibile, infatti, che uno stato di diritto tenga sotto accusa un cittadino, che si presume innocente, per un tempo irragionevole. 

Per altri la ragione di questo istituto risiederebbe nel fatto che, a distanza di molto tempo, non può più ritenersi sussistente l’interesse dello Stato a perseguire e punire un certo comportamento o a tentare il reinserimento sociale del responsabile.

La prescrizione (che determina l’estinzione del reato e della sua perseguibilità per effetto del trascorrere del tempo) è in grado di incidere sulla stessa durata del processo, potendo venire dichiarata in ogni momento (art. 129 cod. proc. penale italiano), anche prima della chiusura naturale del procedimento (altro discorso che nella pratica, poi, la prescrizione venga magari accertata solo con la sentenza finale, costringendosi così l’imputato a scontare comunque l’intera durata, spesso irragionevole, del procedimento).

L’istituto della prescrizione, per poter essere disegnato in maniera ragionevole, dovrebbe costituire la migliore sintesi (migliore in un certo momento storico ed in un certo contesto sociale) fra due opposti interessi: quello dell’imputato, che merita un processo veloce e che ha diritto, oltre un certo tempo, di mettersi il cuore in pace, e quello dell’opinione pubblica che paga il processo (costo medio annuale della pubblica accusa per cittadino al 2010 € 20,16) ed è interessata per lo più a veder condannati i colpevoli (c.d. funzione satisfattiva della pena).

In mezzo, l’interesse dell’apparato statale a dissuadere i cittadini dal commettere reati e a mantenere l’ordine e la pace sociale.

Cesare Beccaria diceva che non può fissarsi un limite preciso di prescrizione “che per una data legislazione e nelle date circostanze di una società” (cap. 30 del Dei Delitti e delle Pene).

Nel fare paragoni con altri paesi (paragoni da cui usciamo piuttosto male), teniamo allora bene a mente la nostra peculiare situazione.

Qui trovate  i risultati 2013 per l’indice di corruzione percepita, registrato sin 1995 da Transparency International sulla base del “livello secondo il quale l’esistenza della corruzione è percepita tra pubblici uffici e politici”.

Trattandosi di percezione, non può certo dirsi che l’indice rifletta la corruzione effettiva (di difficile accertamento come il lavoro sommerso), ma si tratta comunque di un valido specchio di una società, poiché nel grado di percezione non finisce solo l’opinione di chi si limita a leggere i giornali, ma anche di chi vittima di corruzione lo è stato veramente.

Come saprete già nella scala di colore l’Italia è sull’arancione, piuttosto vicino al grado di massima corruzione.

Qui, invece, trovate il numero di nuovi processi penali avviatisi in Italia nel 2010 a confronto con gli altri paesi del territorio europeo. Si tratta di 1.359.884 nuove imputazioni. Guardate invece i numeri non dico dell’Inghilterra (138 mila) o della Svizzera (91 mila), ma della Francia (588 mila) e della Spagna (345 mila), due paesi sicuramente più affini a noi.

E’ vero che in Francia l’azione penale non è obbligatoria (in Spagna e Germania invece sì) e che l’Italia contempla un gran numero di fattispecie di reato, ma possiamo dire che i numeri in larga parte confermano che in Italia vi è un problema di illegalità più rilevante rispetto agli altri paesi?

Qui trovate le risultanze per l’Italia del better life index dell’OCSE, che misura il grado di benessere e soddisfazione dei cittadini dei paesi membri e, al contrario, il loro grado di frustrazione. I dati riferiti al “civic engagement” dicono che solo il 15% delle persone hanno fiducia nelle nostre istituzioni, uno dei dati più bassi dei paesi OECD (sei anni fa l’indice era al 30%). Nello stesso periodo, è calata anche la percezione di soddisfazione personale: gli italiani che si dicono “molto soddisfatti” sono diminuiti dal 58 al 40%. Complice la crisi economica, certo. Ma forse non solo.

Su questo contesto di alto tasso di illegalità e di aumento della frustrazione personale e sociale si inserisce oggi il dibattito sulla prescrizione.

Dove la prescrizione pare oggi suscitare un certo “allarme sociale” è proprio rispetto ai reati di corruzione e concussione, commessi da soggetti con una certa visibilità mediatica, il cui tradimento della pubblica fede, per la carica ricoperta, appare enormemente disdicevole.
Si tratta degli stessi reati che hanno offerto l’occasione ad OCSE e Consiglio d’Europa per tirarci le orecchie proprio sulla prescrizione.   

La corruzione continua a incidere pesantemente sul sistema produttivo dell’Italia e sulla fiducia nella politica e nelle istituzioni” ha rilevato, in particolare, il Consiglio d’Europa, che per questo ci raccomanda di “potenziare ulteriormente l’efficacia delle misure anticorruzione, in particolare rivedendo l’istituto della prescrizione entro la fine del 2014“.

Ci si deve allora chiedere se non sia forse necessario, per concorrere a far diminuire il senso di frustrazione sociale, per evitare quella che Beccaria chiamava la “lusinga dell’impunità” (in Italia sicuramente molto forte), per accrescere la fiducia nelle istituzioni e nella nostra classe dirigente e promuoverne il ricambio, e per aumentare il senso di affidamento generale e di correttezza fra gli individui che costituisce la fortuna dei paesi anglosassoni, intervenire sulla prescrizione per diminuire il numero di procedimenti destinati a estinguersi infruttuosamente. 

Oggi il numero di procedimenti che si arrestano per prescrizione rappresenta il 7% del totale. Si tratta, per l’anno 2012, di 113.000 procedimenti (erano 207.000 nel 2003), come ci ha ricordato la relazione di apertura dell’anno giudiziario.

Per capire, il tasso del Belgio si aggira attorno all’1,5% (dati al 2012).

Il processo che si estingue per prescrizione è una sconfitta anche per lo stesso imputato. Dal canto suo, il cittadino sopporta i costi di un processo inutile e magari è costretto a vedere il colpevole restare impunito (il che, come dicevamo, aumento il senso di frustrazione e la lusinga dell’impunità).

Davvero sarebbe così assurdo stabilire che in caso di condanna di primo grado il termine di prescrizione si interrompe cominciando a decorrere nuovamente da zero o si sospende per un certo periodo?

Non credo.

In Francia il termine di prescrizione si interrompe al compimento di un qualsiasi atto dell’accusa, riprendendo così a decorrere per una durata di dieci anni, senza distinzioni fra tipologie di reato.

Il sistema spagnolo prevede invece una generale causa di interruzione del corso della prescrizione in coincidenza con l’instaurazione del procedimento penale. Il termine così interrotto inizia quindi nuovamente a decorrere in caso di sospensione del procedimento, oppure nell’ipotesi in cui lo stesso si concluda con condanna. Potenzialmente, per tutta la durata del procedimento, ogni termine viene così congelato.

In Germania, se viene pronunziata una sentenza di primo grado prima della scadenza del termine prescrizionale, questo resta sospeso sino alla definizione del processo con “forza di giudicato”, ossia fino all’ultima pronuncia d’appello o di cassazione.

In UK, invece, non esiste la prescrizione, ma la giurisprudenza fa uso di alcune limitations che fissano dei limiti di tempo (time-limits) per l’esercizio di determinate azioni, limiti che solitamente si rinvengono per i reati meno gravi e non per quelli più gravi.

Beccaria diceva che “nei delitti più atroci, perché più rari, deve sminuirsi il tempo dell’esame per l’accrescimento della probabilità dell’innocenza del reo, e deve crescere il tempo della prescrizione, perché dalla definitiva sentenza della innocenza o reità di un uomo dipende il togliere la lusinga della impunità, di cui il danno cresce coll’atrocità del delitto”.

Evidentemente oggi non siamo in grado di disegnare al contempo un processo più veloce (ossia un sistema maggiormente funzionante, a cominciare dalle attività delle cancellerie) ed un più ampio termine di prescrizione. Lavoriamo almeno su quest’ultimo, contenendo il più possibile la “lusinga dell’impunità”.

Subito dopo, mettiamo mano alle regole procedurali e all’organizzazione del sistema nel suo complesso.

 

 

 

 



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