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La guerra (non più fredda) tra Russia e America

Prosegue la guerra di parole tra i due versanti in lotta sul controllo dell’Ucraina. Assodato ormai che si tratta non di una “sconfitta dell’Occidente” come deploravano i primi reportage dopo l’annessione della Crimea, ma di un successo politico-diplomatico di portata storica (l’Ucraina esce dalla sfera di influenza russa per entrare in quella euro-americana) si tratta ora di capire come si possa procedere da qui in avanti, specie dopo quanto accaduto all’Air Malaysia MH17, che promette di diventare l’Ustica d’Eurasia.

La campagna di Russia Today
Sull’emittente moscovita è partita una infowar preventiva mirante a dimostrare che l’incidente viene utilizzato e manipolato per favorire il processo di riallineamento di Kiev alle capitali occidentali. Pepe Escobar ha aggiunto una nuova dimensione a questo confronto affermando che YouTube, Facebook e Twitter sono le uniche fonti di prova addotte dalla parte statunitense, che vorrebbe attribuire ai separatisti armati da Mosca la responsabilità dell’accaduto. In pratica: un’offerta da parte russa ai gruppi di pressione tedeschi allarmati dall’affaire NSA e agli interessi economici-tecnologici decisi a rompere l’equilibrio digitale a egemonia Usa.

Battaglia di idee
Lo stesso Escobar su Asia Times ha chiarito il suo pensiero, rifacendosi all’economista internazionale Immanuel Wallerstein, padre del globalismo economico, secondo il quale la “potenza centrale del sistema”, gli Usa, non possono accettare la rottura multipolare dell’equilibrio egemonico a loro favorevole. Da questo punto di vista MH17 sarebbe un’operazione disperata (black op) messa in piedi da Kiev per screditare definitivamente Mosca, rompere lo stallo sul terreno e catalizzare il sostegno finanziario ed economico occidentale. A questa visione estrema e fortemente ideologizzata si contrappone quella di Zigbniew Brzezinsky, il cui globalismo è per altri versi decisamente atlantico e non multipolare, secondo il quale la Russia di oggi si è spostata troppo verso la Cina. Brzezinski, oltre a riprendere l’Europa, si rivolge dunque anche al “cerchio interno” di Putin evocando il timore di un’eccessiva sudditanza a Pechino sulla scia degli accordi energetici e finanziari (la New Development Bank). La regolarità dell’infowar dunque, sia a Washington che a Mosca, è quella di rivolgersi alle classi dirigenti: ai tedeschi, da parte russa, per sottolineare le convenienze a non allinearsi ad un ancora fumoso atlantismo energetico; ai gruppi dirigenti russi stessi, da parte americana, per incitare a rompere la solidarietà con un leader che li condurrebbe all’isolamento.

Logoramento di Putin?
Così torniamo al punto di partenza: le analisi iniziali dell’infowar occidentale puntavano ad accreditare una Russia forte e vincente, imperiale, neo-sovietica o addirittura hitleriana (paragone che, appena evocato, ha pesato e non poco su un infowar efficace, perché tutta l’élite russa, non solo i nostalgici “comunisti”, vive sulla memoria collettiva dei 20 milioni di morti della Seconda guerra mondiale). Oggi si tende invece a sottolineare il messaggio opposto, ovvero che Putin “perde mordente” e che infila una sconfitta dietro l’altra, isolando il Paese. Secondo George Friedman, analista di intelligence fondatore di Stratfor, Putin potrebbe “cadere” sulle difficoltà economiche del suo Paese, cui si aggiunge la perdita dell’Ucraina. Ma l’ipotesi di un regime change sponsorizzato da Ngo e in diretta YouTube/Cnn/Sky che terrorizza Mosca è ancora lontana, a dire il vero. Basta guardare ad alcuni dati fondamentali. Lo stesso Friedman realisticamente non forza la mano alla realtà: se regime change sarà, probabilmente avverrà “per linee interne”, e potrebbe anche provenire da gruppi più ferocemente decisi a sostenere l’interesse nazionale di quanto non sia l’attuale coalizione putiniana.

Freddi dati militari
Su questo sfondo fantasmagorico di reciprochi giochi d’ombra, la realtà militare è molto semplice, e a ricordarcela si incarica il Center for analysis of strategies and technologies (Cast) di Mosca nell’ultimo Moscow Defense Brief, dove un articolo mette in evidenza l’importanza della Crimea per la flotta russa e un pezzo di Aleksey Nikolsky esplicita la strategia “soft” di penetrazione navale russa nel Mediterraneo orientale avviata nel 2013. In sintesi, si può dire: senza Sebastopoli non ci può essere una credibile proiezione sul quadrante Egeo-Mar di Levante-Mar Rosso, e un governo anti-russo a Kiev rischiava di rivedere gli accordi per le basi in Crimea. Sarebbe a quel punto saltata la linea con Damasco, lasciando campo libero ad iniziative anglo-americane nell’area. La comprensione di questa realtà consente di vedere più in là degli scontri di parole. Russia e Stati Uniti sono attori del sistema mediorientale, e come sottolineato dagli esperti russi del CAST, Washington è particolarmente abile a tenere separati i tavoli in cui conviene una convergenza con Mosca da quelli in cui lo scontro può essere accentuato.

L’asse missilistico-strategico
Jim Thomas, vicepresidente del think tank Center for strategic and budgetary assessment (Csba), in una recente testimonianza al Congresso, ha parlato della necessità di un approccio multilaterale alla riduzione dei missili a raggio intermedio (Trattato bilaterale Usa-Urss “INF”), coinvolgendo anche la Cina. Si tratta di “stanare” Pechino dal suo status di “free rider” di un processo che finora ha coinvolto solo Mosca e Washington. Cina, Iran e Corea del Nord sono chiaramente indicate come la fonte delle principali preoccupazioni missilistiche di Usa ed alleati. E Thomas si spinge a indicare un accordo diretto Russia-Usa per ridurre le limitazioni all’impiego in basi avanzate esclusivamente di missili convenzionali con raggio 500-2000 km, tali cioè da impedire dispiegamenti russi a Ovest degli Urali. La posta in palio sono gli scudi missilistici regionali che gli Usa potrebbero realizzare: quello nel Golfo Persico insieme alle altre monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo e quello imperniato su Corea del Sud-Giappone. Significativamente, nessuno dei due schieramenti danneggia gli interessi russi.

Sul West Pacific Mosca e Washington hanno interessi in comune
Ancora più esplicitamente, qualche settimana fa su National Interest, un altro esperto del Csba, Evan Montgomery ha proposto una revisione del trattato Inf per permettere lo schieramento avanzato di missili sul teatro asiatico, mantenendo la proibizione su quello europeo. Un’offerta esplicita anche a Mosca, che nel caso di un grave sconvolgimento geopolitico come l’annessione di Taiwan alla Cina si troverebbe a convergere con Washington per difendere la stabilità strategica del Pacifico occidentale.

E gli affari continuano
Di questi giorni le notizie di ricchi business che si concludono tra le due sponde (russa e americana) del Pacifico, dove per esempio il colosso metallurgico Severstal del magnate Alexei Mordashov è in trattative per cedere agli americani Steel Dynamics e Ak Steel due impianti nel Midwest, per un valore che secondo Financial Times si aggira attorno ai 2,3 miliardi di dollari. E KBR, gruppo ingegneristico Usa proveniente dalla galassia Halliburton, si è aggiudicato la ristrutturazione di un segmento importante della raffineria Gazprom di Omsk in Siberia occidentale (Hydrocarbon Engineering). Insomma, mentre i gruppi dirigenti europeo-orientali in Europa (ultimo esempio, il durissimo editoriale del lituano Artis Pabriks sul New York Times) cavalcano l’onda antirussa, la realtà dei “duri fatti”, degli accordi e degli interessi strategici di lungo periodo tra le due maggiori potenze si delinea all’orizzonte eurasiatico. E potrebbero tagliare fuori la “linea baltica”, per il momento vincente nell’ambito dell’infowar e complice una Germania assente.


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