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Studi di settore, ascesa e declino di uno strumento mai compreso

Fra la platea dei contribuenti che nella dichiarazione dei redditi non si adeguano al responso di Gerico (il software di calcolo degli studi di settore), solo uno su venti rischia concretamente di ricevere un accertamento calcolato in base al programma (si veda “Il Sole 24 Ore” dell’8 giugno 2009, pagina 33).

Nonostante, di fatto, dunque, il temuto addebito non giungerà mai a nessuno (o quasi), centinaia di migliaia di partite Iva, viceversa, hanno scelto tutti gli anni di sborsare i quattrini richiesti per l’adeguamento in dichiarazione. Si veda la TAB 1 pubblicata in calce, elaborata sulla base di dati di recente diramati dalla corte dei Conti.

Eppure, tutti gli addetti ai lavori sanno che:

a) dopo le sentenze di Cassazione di fine 2009 la forza probatoria di Gerico è stata derubricata in cosiddetta “presunzione semplice”, per cui il software non può più essere utilizzato per accertamenti automatici;

b) il costo della futura definizione, pure se si viene pizzicati dal (molto eventuale) avvio della procedura, nella peggiore delle ipotesi sarà pari – a distanza di qualche anno – a quanto si sarebbe speso a suo tempo giocando d’anticipo con l’adeguamento in dichiarazione, dovendo aggiungervi quella che, in proporzione, è solo una piccola somma.

Meno chiara deve essere la percezione che di tutto questo avranno avuto i diretti interessati (le partite Iva). Solo così si spiega perché nel 2012, dopo una progressiva contrazione a oltranza iniziata da qualche anno, sono stati tuttavia in 334mila quelli che hanno tirato fuori i quattrini per onorare i calcoli delle tasse fatti da Gerico.

Questo risultato, al tempo stesso, vale poco e vale troppo. E’ poco, se si considerano le più che legittime aspettative di gettito del Fisco. E’ troppo se si considera, invece, il quadro di (s)convenienza reale che l’ordinamento fiscale, nel corso degli ultimi anni, ha costruito intorno alla scelta individuale di adeguarsi o meno in dichiarazione. In altre parole, se ciascuna partita Iva ragionasse da addetto ai lavori nessuno più spenderebbe soldi per adeguarsi.

Tutto questo dimostra come le dinamiche di compliance che animano le scelte di massa dei contribuenti rispondono a logiche che il sistema di governo degli studi di settore ancora non sa riconoscere. E che si muovono sotto la spinta di un potente bisogno di regolarità, da parte degli autonomi, che il legislatore fiscale ignora da sempre, ma che farebbe bene a intercettare e traghettare verso approdi di reciproca convenienza.

Sbagliato, dunque, trattare questo tipo di contribuente come fosse la Fiat o, sotto altro profilo, come un delinquente fiscale (e invece tutto è perfettamente uguale per tutti: dalle sanzioni alle procedure agevolate di definizione). Se, dunque, è vero che l’autonomo, a differenza di altre categorie, è disposto a pagare senza una contropartita chiara (ma semplicemente per “comprare” la serenità di sentirsi a posto verso il Fisco), le strategie di compliance devono anch’esse differenziarsi e cambiare profondamente. Per puntare a generare in modo diffuso, nella mente di tale tipo di destinatario, una sana consapevolezza di questo tanto agognato “sentirsi a posto” (in altra sede si potrà approfondire il tema).

Una prima analisi sommaria dei dati rinvenienti dall’esperienza degli ultimi dieci anni, in materia di studi di settore, conferma questo approccio e dimostra che la leva ideale per spingere all’adempimento spontaneo nel caso concreto è stata costituita dal combinato disposto di due elementi: 1) il tipo di messaggio affidato ai media da fonti istituzionali, che ora ha giocato a favore, ora ha giocato contro la spinta all’adeguamento; 2) il presidio fisico del territorio affidato agli uomini del Fisco. Ma questo presidio non significa solo produrre atti di accertamento carichi di addebiti e sanzioni. Molto più efficaci di questi ultimi sono risultati infatti i controlli del tipo “mordi e fuggi” (tecnicamente si chiamano “accessi brevi”, i quali si fanno impiegando non più di un giorno, visitando di persona la sede dell’impresa), onde verificare de visu il grado di “sincerità fiscale” del controllato, senza però la finalità di minacciare l’arrivo di sanzioni o recuperi d’imposta.

E, infatti, ai fini della propensione alla compliance, non è affatto necessario che il controllo frutti, da sé, un’imposta da recuperare. Le verifiche di quest’ultimo tipo, invero (chiamansi “accertamenti”), fatte in differita di qualche anno, hanno troppe controindicazioni: sono molto più impegnative, durano di più (se ne possono fare di meno), raggiungono esiti di addebito quasi sempre incerti, opinabili, per cui danno luogo sistematicamente a contenziosi. Che si tratti, poi, di un’attività complessivamente poco fruttuosa per l’erario lo dicono le cifre diffuse dalla Agenzia delle entrate nelle slides relative ai risultati annuali dell’attività di contrasto.

Per il triennio 2008-2010, a esempio, sono stati notificati 53mila accertamenti annui basati sugli studi di settore (la media più elevata rispetto ad altri periodi). Essi hanno fruttato annualmente 93 milioni di imposta definita e, dunque, un incasso medio annuo calcolabile fra i 100 e i 150 milioni, comprensivi di sanzioni, interessi, eccetera. Gli introiti dell’adeguamento spontaneo in dichiarazione, invece, come si potrà vedere nella tabella in calce, hanno portato un gettito assai più significativo. Che va da 2,6 miliardi per l’anno d’imposta 2006 a 1,1 miliardi per l’ultima annualità disponibile, il 2012.

Sbaglia, inoltre, chi pensa che lo studio di settore sia uno strumento capace di indovinare davvero al centesimo i guadagni dell’autonomo. Gerico è solo uno strumento di calcolo convenzionale, inevitabilmente approssimato, al quale entrambe le parti (Fisco e contribuente) si rimettono in via preventiva, ma solo per ragioni di reciproco vantaggio. Conviene sia al Fisco sia al contribuente “raccontarsi” che gli imponibili veri sono stati quelli dettati dal software.

Insormontabili barriere di natura tecnica rendono di fatto oggettivamente impossibile ricostruire dopo alcuni anni il guadagno reale conseguito annualmente da ciascuno dei 5 milioni di soggetti. Trattandosi, dunque, di periodi passati, con prove inevitabilmente evaporate per sempre, l’unica alternativa di controllo praticabile diventa, finché non si rivoluziona l’odierna architettura degli adempimenti, quella di affidarsi agli accertamenti manuali ex post. Rinunciare a Gerico, però, oggi è ancora sconveniente per entrambe le parti. Da un lato, infatti, il Fisco dovrebbe fare a meno delle cospicue entrate da adeguamento, mentre, dall’altro lato, il contribuente si vedrebbe esposto, sia pur in un numero di casi assai esiguo (considerati i limiti di scala derivanti dallo scarso numero possibile dei controlli manuali), al rischio di singoli accertamenti aventi un alto tasso di discrezionalità di fatto. Discrezionalità non controllabile da nessuno su basi obiettive, e per questo, con possibilità di toccare soglie fuori controllo.

In altre parole, senza più il paracadute del software mancherebbe quel ruolo di calmieratore che Gerico fino a oggi ha giocato, fissando (di fatto) un tetto massimo, virtualmente sempre calcolabile ad personam, alla cifra di accertamento possibile. Cifra che, invece, in astratto potrebbe essere senza limiti, per via della logica basata su presunzioni unilaterali giuridicamente ammesse, sovente con disinvoltura, a favore del Fisco.

Nonostante la intrinseca validità degli studi di settore, pertanto, spiace constatare che nel corso degli ultimi anni il Fisco vi ha creduto sempre meno. Al punto da assistere passivamente, come si diceva, a una drastica contrazione delle performance di adeguamento in dichiarazione, performance che, nel giro di pochi anni, hanno visto più che dimezzato il gettito generato dallo specifico meccanismo ad hoc.

La tabella pubblicata dalla corte dei Conti riporta, fino al 2012, elementi di dettaglio inediti, fra cui l’ammontare annuo dell’imponibile aggiuntivo dichiarato in sede di adeguamento (si veda qui il file pdf 03, Tavola 20, pagina 78 della Relazione sul Rendiconto generale dello Stato per il 2013, deliberata dalla corte dei Conti il 26 giugno 2014).

(cliccare sulla tabella per ingrandire)

tabella

Sulla base di tali dati è stata qui elaborata una tabella di sintesi, allegata in calce. La tabella ricostruisce negli anni (dal 2003 al 2012) l’andamento della cifra complessiva di adeguamento, cifra che registra due fasi distinte, nettamente in controtendenza fra loro: una di crescita a fino al 2006 e poi riduzione inarrestabile fino al 2012. Nella tabella viene altresì riportata una sommaria ricostruzione che evidenzia anno per anno quali sono stati gli eventi in grado di spiegare il perché delle oscillazioni annue così rilevanti (e reiterate) nel numero e nell’importo degli adeguamenti annui.



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