La politica internazionale sembra essere vittima di una partita a scacchi interminabile e dall’altissima posta in palio. Se in Irak proseguono senza troppa fortuna i bombardamenti aerei e i combattimenti a terra e le trattative fra Israele e Hamas risultano ancora in alto mare, è il dossier Ucraina quello che alimenta forse le preoccupazioni maggiori.
Le tensioni fra Mosca e Kiev sono tutt’altro che diminuite e questa escalation sembra essere inarrestabile, con conseguenze imprevedibili. Negli Stati Uniti il livello di guardia è altissimo e l’Amministrazione Obama non sembra intenzionata a concedere sconti a zar Putin. Solo poche ore fa è intervenuto il segretario di Stato americano, John Kerry, il quale ha “preteso” che i responsabili dello schianto in Ucraina del volo MH17 della Malaysia Airlines, probabilmente abbattuto a luglio dai separatisti filorussi, siano portati davanti alla giustizia. In visita a Sydney, Kerry ha definito un “crimine impensabile” la sciagura aerea puntando il dito, pur senza citazioni esplicite, contro la Russia che avrebbe armato la mano dei terroristi che hanno provocato la morte delle 298 persone a bordo del Boeing, partito da Amsterdam e che sarebbe dovuto arrivare a Kuala Lumpur.
A muoversi non c’è solo la diplomazia. Anche sul terreno dell’est dell’Ucraina la situazione non accenna a calmarsi. Malgrado i moniti americani, la Russia ha intrapreso la discussa missione a carattere presuntamente umanitario a favore delle popolazioni dell’Ucraina orientale, travolta dal conflitto tra forze governative di Kiev e ribelli separatisti: un convoglio composto da 280 camion, carichi di aiuti di emergenza, è partito da Mosca di buon mattino. Per giungere a destinazione dovrà percorrere un migliaio di chilometri in direzione sud-ovest, e impieghera’ un paio di giorni. “È stato tutto concordato con l’Ucraina”, ha assicurato Dmitry Peskov, portavoce del presidente Vladimir Putin, replicando indirettamente a Barack Obama, che aveva definito “inaccettabile” qualsiasi intervento russo di natura diversa e privo del consenso ucraino. Questo tema era stato affrontato ieri anche nella telefonata fra il presidente americano Obama e il premier italiano Matteo Renzi. “Qualsiasi passo russo non in linea con queste condizioni”, è scritto nel resoconto diffuso da una nota della Casa Bianca, “sarebbe inaccettabile, violerebbe la legalità internazionale e condurrebbe all’emanazione di ulteriori sanzioni” contro Mosca.
La denuncia da parte della Nato di circa 20.000 soldati russi ammassati al confine (addirittura 45.000 secondo Kiev) non contribuisce di certo ad allentare la tensione, e oggi il segretario generale dell’ Alleanza atlantica, Anders Fogh Rasmussen, non ha esitato a parlare di “un’alta probabilità” che il Cremlino – che Kiev e i suoi alleati occidentali accusano da tempo di armare e sostenere i separatisti – intervenga militarmente in Ucraina. Le truppe di Kiev intanto continuano a stringere la morsa su Donetsk, la città più importante del sud-est trasformatasi nella principale roccaforte dei separatisti filorussi. Il portavoce dell’ esercito ucraino, Oleksii Dmitrachkivski, sostiene che il centro sia ormai praticamente isolato da Lugansk, e anche il nuovo “premier” dell’ autoproclamata repubblica popolare di Donetsk, Aleksandr Zakharcenko, non ha potuto nascondere che la città è “circondata”.
Da giorni ormai su Donetsk piovono i proiettili dell’artiglieria ucraina, che mietono vittime anche tra i civili, e ieri notte è stato colpito per l’ennesima volta un obiettivo non militare: un carcere di “alta sicurezza”. Il bombardamento ha ucciso un detenuto e ne ha feriti altri, ma ha anche fatto scoppiare una rivolta tra i carcerati, 106 dei quali sono evasi: alcuni si sono ripresentati in carcere stamattina, ma di decine si è persa ogni traccia. La guerra in Ucraina orientale ha già fatto più di 1.500 morti, e il Comune di Donetsk ha annunciato oggi che nel fine settimana hanno perso la vita altri tre civili. Tra le fila dell’ esercito ucraino le perdite dall’ inizio dell’operazione militare in aprile ammontano invece a 568 uomini, mentre i feriti sono ben 2.120. Ma ci sono morti anche tra i controversi gruppi paramilitari pro-Kiev, come i battaglioni Donbass e Azov, che tra ieri e oggi hanno perso sei uomini negli scontri a fuoco a Ilovaisk, vicino Donetsk, e naturalmente anche tra i miliziani filorussi.
Mentre i civili costretti a lasciare le proprie case sono circa 300.000, e sembrano destinati ad aumentare. Della situazione, alquanto critica, Obama e Poroshenko discuteranno il 4 e il 5 settembre a margine di un vertice Nato a Newport, in Gran Bretagna.
Speriamo non sia troppo tardi.