Erano di fronte, lui e lei. Tra loro, tra loro due, un filo. Un filo sottile. Di lana, soffice e calda. Del filo, ciascuno, reggeva un capo. E lui, il filo molle e indolente, disegnava un sorriso. Una “u”, appesa nell’aria. Se la rideva lui, il filo, di quei due che si guardavano, immobili. Lui, più di lei, non voleva altro che tirare quel filo. E il filo lo sapeva bene perché, tra l’indice e il pollice di lui, il sudore aveva inumidito l’estremità. Si tratteneva lui, e quel trattenersi faceva di quell’apparente stasi un momento di tensione fortissima capace di generare correnti che si scaricavano sulla resistenza di lei. Un mantra tutto elettrotecnico quello di lei, quello dell’Ohm. E mentre continuavano a guardarsi, si parlavano con i fremiti degli occhi di lui cui rispondeva lei giocando di ciglia con i riflessi della luce che trapelava attraverso le gelosie illuminandone le pupille.
Dal collo di lui, gocce di sudore andavano unendosi in un unico rivolo che scompariva dietro la camicia. E lei pure, che aveva indosso una sottoveste leggerissima, doveva essere umida di sudore. Due ombre, infatti, si facevano sempre più scure proprio là dove i seni di lei pigiavano da dentro sulla sottoveste. Il passaggio di un aeroplano, a un tratto, scosse quel tempo sospeso. L’aeroplano oscurò il sole per un momento e l’istante dopo una lama di luce entrò improvvisamente dalle persiane impedendo ai due sguardi la vista. Fu allora che, come per un riflesso, per non perdersi i due, all’unisono, tirarono ciascuno il capo del proprio filo. Bruciandosi di elettricità.
Lui, lei e un unico filo
Di