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Vi spiego perché l’immigrazione non è solo un costo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Carnelutti in uno dei suoi libri “clandestini” racconta del rapporto con i discepoli e della sua insofferenza (mutata in attesa) per l’interruzione impertinente della lezione. Esso descrive l’essenza della conoscenza, quel flusso spirituale prodotto dal lampo che squarcia il velo del conformismo privo di anima e improduttivo di potenza.

Egli parla del rapporto docente-discente il quale trasforma irreversibilmente le persone inturgidendo la materia dell’essenza educativa. «Io, nei primi anni d’insegnamento, credevo che avrei detto in iscuola quello che avevo capito, altrimenti non l’avrei potuto dire […]. Perciò preparavo scrupolosamente la lezione cercando che non mi restasse nulla da capire di quello che avrei dovuto far capire. Poi, a scuola, succedeva spesso, anzi sempre piú spesso, una strana cosa: a un tratto s’illuminava un aspetto del problema, che durante la preparazione era rimasto in ombra e, nello sforzo di farmi capire dagli scolari, affioravano delle formule che chiarivano meglio le cose a me prima che a loro, ond’io finivo per essere il primo scolaro di me stesso […]. Non ricordo dove ho scritto che se la sapienza non si tuffa di continuo nell’ignoranza, rischia di morire asfissiata […]. Cosí ho finito per capire se m’aiutava quello dei discepoli, il quale osava pormi un’ingenua domanda, m’aiutavano anche gli altri che ascoltavano, in silenzio, le mie parole […]. Non capivano, dunque, che avevo bisogno di aiuto? Bisogno, già, bisogno di vedermi davanti quei volti giovanili attenti, donde partivano degli sguardi che parevano veramente raggi di sole».

Ho avuto in aula un ragazzo di colore la cui lingua stentata e la sua brama di conoscenza hanno vivificato in me il bisogno di aiuto e di conoscenza di una realtà “altra” che ci appartiene. Un giorno mi raccontò di essere stato esortato dalla madre a non fare ritorno per la morte del padre, a non allontanarsi dagli studi e ad onorare quella perdita incolmabile proseguendo il suo lavoro. Ho trattenuto il fiato per qualche secondo e ho ripreso più di quanto abbia provato a dargli in un anno di corso.

Perdere questa ricchezza e brandire il vessillo della paura verso l’”altro” è un errore storico e un delitto per l’umanità. Non si deve ignorare che i flussi migratori dei popoli contengono fattori imperativi non risolvibili con le politiche dei respingimenti. Simili fenomeni richiedono una cultura dell’accoglienza non risolvibile in una mera voce di costo per l’ospitalità e i riaccompagni.

Essere una realtà di frontiera implica un’attitudine all’ibridazione, allo scambio, al dialogo, in una dimensione attiva capace di trasfondere e di ricevere valori e culture. Significa essere chiamati alla costruzione di una nuova classe dirigente i cui effetti potranno manifestarsi nei luoghi più diversi, significa assumere una vocazione cosmopolita fronteggiabile con una sana risposta pedagogica. L’Europa non dimostra di avere percepito il compito che la storia le assegna, retroguardista ed egocentrista non s’avvede che i dirimpettai africani bussano alle porte non soltanto per le già sufficienti ragioni umanitarie ma per attingere ai valori universali di libertà e di eguaglianza, di per sé non esclusivi di alcuni popoli ed escudenti altri.

L’ospitalità umanitaria riduce la questione ad una voce di costo, accentua gli aspetti conflittuali tra i popoli, disperde l’opportunità di una crescita economica e sociale capace di arricchire l’ospitante e l’ospitato. Lo stesso diverbio italo-europeo non si allontana da un simile recinto là dove le stesse regioni rivierasche potrebbero destinare parte delle proprie risorse e dei propri investimenti ad un’attenzione pedagogica dell’accoglienza aperta una moderna cittadinanza europea. Enrico Caterini


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