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A che cosa punta la Scozia con il referendum anti Inghilterra

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori, pubblichiamo l’analisi di Edoardo Narduzzi uscita sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi

Per la prima volta da quando è iniziata la campagna elettorale per l’indipendenza della Scozia le intenzioni di voto per il sì sono in testa nei sondaggi. Gli argomenti finora utilizzati dall’intero establishment politico londinese, più di ogni altro l’argomento che con l’indipendenza Edimburgo perderebbe la sterlina e l’ombrello garantito dalla banca centrale inglese, stanno perdendo capacità di convincimento degli elettori e, soprattutto, degli indecisi scozzesi.

Nonostante l’impegno ormai a tempo pieno, soprattutto dei laburisti che in Scozia eleggono ben 40 deputati contro l’unico parlamentare conservatore scozzese e dei big della politica inglese, la piega che il voto, previsto per il prossimo 18 settembre sul referendum per l’indipendenza della Scozia, sta prendendo rischia di ridimensionare seriamente le ambizioni politiche dell’Inghilterra in Europa e nel mondo.

Ancora una volta Londra ha sottovalutato la capacità di problem solving dell’Eu e dell’euro. La Scozia indipendente, ma da decenni parte del mercato unico e dell’Unione europea, può, in un batter d’occhio, decidere di aderire all’euro integrandosi ancora di più nell’interscambio del Vecchio continente. Soffrirebbe un minimo nelle relazioni commerciali interbritanniche, ma non dovrebbe affrontare i molti problemi paventati dai politici inglesi di dotarsi di una banca centrale e di una moneta nazionale. La Bce e l’euro offrono un’opzione politica a portata di mano e facilissima da attivare. Nessuno, ovviamente, ne parla troppo esplicitamente in questa fase della campagna referendaria per evitare facili strumentalizzazioni, ma è nello stato delle cose che, se il sì all’autonomia dovesse prevalere, già nel 2015 in Scozia potrebbe circolare l’euro.

L’indipendenza della Scozia sarebbe un pugno nello stomaco alle politiche antieuropeiste inglesi degli ultimi lustri e, soprattutto, all’indecisione con la quale i laburisti hanno affrontato la questione euro. Tony Blair ha fatto ben due campagne elettorali promettendo di convocare un referendum per l’adesione alla moneta unica ma non ha mai avuto la forza politica di mantenere quanto annunciato.

Il Regno Unito è rimasto così sospeso tra un esplicito antieuropeismo dei conservatori di David Cameron e un europeismo timidissimo dei laburisti spalancando le porte al successo dell’Ukip di Nigel Farange, un partito nazionalista inglese diventato il primo del paese con il 27,5% dei voti alle elezioni europee del maggio scorso.

Tra un’Inghilterra sempre più nazionalista e antieuropea e l’opzione di un’indipendenza con conseguente maggiore integrazione con il Vecchio continente, gli scozzesi stanno per optare per Bruxelles. L’euro non è poi così derelitto.


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