Folgorati sulla via di Roma, depositari delle verità e dispensatori della giusta ricetta per curare ogni possibile male del Belpaese. Quella della cosiddetta società civile che scende in campo è una vecchia novena che racconta di uomini e ambizioni, altruismi ed egoismi, impegno pubblico e legittimi interessi privati con i quali convivere ed a volte anche sistemare.
Intendiamoci, nulla di male se un imprenditore di successo o un ex banchiere sentono il dovere di sacrificare in nome del bene comune e decidono di abbracciare una nuova vita al servizio della collettività e delle future generazioni. Ben vengano, siamo felici e curiosi di ascoltare le loro opinioni, attenti e distanti da facili malizie del pensiero, da quelle dietrologie della mente che fanno peccare di una certa diffidenza.
Tuttavia, è pur lecito porsi la più semplice delle domande: perché? Fama e ricchezza ad un certo punto non bastano più a soddisfare quell’egoismo che, diciamolo pure senza ipocrisia, è una caratteristica di fondo di ogni essere umano e in particolare di chi fa il mestiere dell’imprenditore? Difficile dirlo, ma nell’incertezza di fondo preferisco rifuggire dallo sport nazionale del retro pensiero negativo e credere nella buona fede dei folgorati. Buona fede che, da dilettanti dell’attività politica, li porta però a commettere errori strategici e comportamentali che penalizzano fin dalla nascita la loro iniziativa.
Dal banchiere ex ministro che prima si autodefinisce come “il nuovo Berlusconi, ma in meglio”, poi smentisce la dichiarazione in noiosi talk show che rimpiangono gli indici d’ascolto dei bei tempi del Cavaliere, all’imprenditore marchigiano distratto da mille cose ed interessi, soprattutto quello di fare le scarpe al premier pro tempore, urtato nell’orgoglio e nel portafoglio.
Entrambi lo accusano di populismo, di cercare l’affermazione personale a scapito della bontà dei risultati. Per dirla alla romana marchigiana, di essere una grandissima sola. Può darsi abbiano ragione, oppure no. In ogni caso, onore al toscano che ha il merito di provarci e da politico per mestiere – non c’è nulla di male ad esserlo – non folgorato dalla politica, conosce la più elementare delle regole della professione: il consenso dei cittadini prima di tutto, perché solo attraverso un percorso di narrazione personale e capacità di saperla raccontare è possibile incidere laddove serve. Prendere i voti e avere visioni chiare su ciò che occorre fare, ovviamente sulla base della propria sensibilità e cultura, produrre scelte e decisioni, giuste o sbagliate saranno sempre e comunque i fatti, o meglio gli elettori a deciderlo.
Che l’azione politica di Matteo Renzi abbia un’idea di fondo liberale e riformista – che paraculamente chiama di sinistra per ovvie ragioni di contingente convenienza – e professi gli stessi ideali che sono quelli ispiratori di un’altra storica discesa in campo di vent’anni fa, è di tutta evidenza. Quindi non stupisce che il Cavaliere provi una naturale simpatia per l’uomo e lo sostenga più o meno velatamente. Per inciso, ben venga e magari ci fosse davvero un patto tra i due per andare oltre gli schemi di vecchie e stantie abitudini, ‘sti “centrodestra” e “centrosinistra” dove non si è mai capito dove finisca il centro ed inizi la destra o la sinistra e che oramai è privo di ogni significato e scopo se non quello di continuare a discuterne sui giornali e nei convegni. E se c’è odore di massoneria, chi se frega: ce ne faremo una ragione.
E’ invece curioso e paradossale che i dilettanti e divertenti folgorati aspiranti politici lo critichino con tanta frenesia, dato che i contenuti del loro messaggio, al di là delle esagerazioni passeriane frutto dell’ansia da prestazione, sono sostanzialmente gli stessi del Matteo premier. Ma alla fine, cosa sono i contenuti e le idee al confronto della pur lecita ambizione e del pur sano egoismo di fondo? Peraltro sarebbe dilettevole, interessante ed intrigante seguirne le evoluzioni future se il contesto del Paese lo consentisse.
Purtroppo la delicata situazione non permette egoismi, ripicche personali o i tempi dei politici dilettanti allo sbaraglio, possibili anzi probabili futuri farmacisti delle urne elettorali.