In tanti mi hanno chiesto: “perché stai nel PD?” se poi “critichi l’operato di Matteo Renzi?”. Solite domande che ti pongono quelli che stanno “fuori” o comunque dall’altra parte, e di solito gente che concepisce la Politica come un “identificarsi” con il leader.
A queste persone voglio spiegare, ci voglio almeno provare, alcune cose e cercare anche di rispondere alle loro domande. In primis, la Politica, per me, è molto di più del leader di turno del mio Partito. Vedete, un leader dà un orientamento politico al gruppo, traccia un percorso e, così come dice la parola stessa leader (dal verbo inglese to lead) deve guidare il suo “popolo”. Detto questo, il suo ruolo ha una scadenza e ciò che resta, quando il leader va, è il partito con le sue strutture e le sue persone: queste sono le unità della Politica, il leader è importante, ma è un accessorio.
Senza popolo, non c’è leader.
Quello che sicuramente crea confusione, almeno secondo me, oggi, nel Partito Democratico è il fatto che il nostro Segretario di partito sia anche Presidente del Consiglio. Ecco, come ho avuto modo di dire molte altre volte, per me questa è l’anomalia. E mi fa piacere che Pierluigi Bersani, dopo Gianni Cuperlo ad onor del vero, lo abbia fatto presente di recente.
Questa coabitazione forzata tra le due figure produce da un lato un sentimento di ossequio e dall’altro una reticenza nemmeno troppo taciuta, nel prendere posizioni contrarie alla volontà del “capo”. Questo dualismo opprime l’autonomia di pensiero, lo fa indirettamente con la minaccia del “non ti ricandido”. Non perché Matteo Renzi lo abbia detto, ma perché chi si trova nella condizione di dover decidere da che parte stare, si pone il problema. E dunque, malgrado certi idee poi non siano condivise, si preferisce allinearsi senza esporsi.
L’azione di Governo deve essere monitorata, criticata e tenuta in costante osservazione poiché le decisioni che vengono prese dai Governi impattano non solo sugli iscritti del partito o dei partiti della maggioranza, ma su tutti gli italiani, non solo nel presente bensì, o soprattutto nel futuro. Per questo, credo, i padri costituenti vollero specificare nella Costituzione che gli eletti “non hanno vincolo di mandato” proprio per tutelare la loro “libertà” di pensiero e di “azione” (politica), affinché avessero la forza e il coraggio, quando necessari, di dire “no!” anche al proprio amico, compagno o leader di partito.
Quando parlo o scrivo, nel rispetto reciproco, voglio avere la libertà, e la rivendico con forza, di poter usare il mio pensiero autonomamente. E se questo significa dire “no” anche alle scelte del partito che ho votato, allora così sia. Mi viene in mente quanto scritto da Pier Paolo Pasolini: “la mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza”. Questo è il rischio, talvolta, dell’indipendenza.
Quindi, per tornare agli interrogativi iniziali: in primis, il partito mi rappresenta in quanto unità di persone, valori e prospettive, non per il suo leader del momento, secondariamente critico l’operato di Renzi quando sento la necessità di farlo e quando le scelte che prende mi appaiono sbagliate o pretestuose.
Rivendico solo il mio diritto di cittadino, elettore e attivista politico, di prendere una posizione e di agire solo secondo coscienza.