Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali
La strategia per combattere lo Stato islamico (Isis) del presidente Barack Obama si fonda su tre pilastri: la creazione di una coalizione internazionale contro l’Isis, l’appoggio a un governo inclusivo in Iraq, e un’azione mirata in Siria, volta a indebolire la presenza del Califfato e a rafforzare l’opposizione “moderata” al regime di Bashar Al-Assad.
L’ingrediente militare nella strategia Usa appare ancora una volta preponderante, sebbene non si preveda l’invio di truppe occidentali sul terreno. A combattere l’Isis dovrebbero essere infatti forze regionali e locali: i peshmerga del Kurdistan iracheno, l’esercito e le milizie sciite del governo di Baghdad, le tribù sunnite irachene (attualmente in gran parte schierate con l’Isis), e i ribelli “moderati” in Siria.
Tali forze saranno sostenute dai raid aerei statunitensi e sostenute a livello logistico da una coalizione internazionale formata da due componenti principali: una transatlantica (paesi Nato) e una mediorientale (dominata dalle monarchie del Golfo).
Un governo inclusivo a Baghdad, la cui formazione è stata recentemente ufficializzata, dovrebbe fornire una risposta soddisfacente alle rivendicazioni curde e sunnite. Dovrebbe in particolare incoraggiare le tribù sunnite irachene a ribellarsi all’Isis, come già avevano fatto con Al-Qaeda in Iraq nel 2007. Una simile strategia comporta però rischi molto elevati, poiché non tiene conto di numerosi fattori.
In primo luogo, il nuovo governo iracheno non costituisce una vera rottura con il passato. Molti dei suoi membri avevano già fatto parte dei precedenti esecutivi. Inoltre, i due ministeri chiave della difesa e degli interni sono rimasti per il momento vacanti, mentre i curdi hanno minacciato fino all’ultimo di boicottare il nuovo esecutivo. Ciò non lascia ben sperare per il futuro.
Malgrado le promesse di dialogo con sunniti e curdi enunciate dal nuovo premier sciita Haider Al-Abadi, il ricorso sul terreno a milizie sciite contro l’Isis rischia di esacerbare le tensioni settarie invece di appianarle. Lo Stato islamico si è già dimostrato abilissimo nello sfruttare tali tensioni a proprio vantaggio.
Analogamente, la scelta occidentale di armare le milizie curde, in presenza di contrasti irrisolti fra Erbil e il governo di Baghdad riguardo agli introiti petroliferi e alla città contesa di Kirkuk, rischia di incoraggiare le tendenze centrifughe nel paese.
Roberto Iannuzzi è ricercatore presso l’Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo). È autore del libro “Geopolitica del collasso. Iran, Siria e Medio Oriente nel contesto della crisi globale”, di recente pubblicazione.