Poco meno di due mesi e i commissari del Barroso bis passeranno il testimone alla squadra di Juncker. E’ tempo quindi di tirare le somme e predisporre le medaglie da appuntare al petto. Nei sogni del commissario alla concorrenza Almunia, c’è quella di Google.
I due predecessori del commissario spagnolo hanno concluso il proprio quinquennio con importanti casi di abuso di posizione dominante da parte di società statunitensi nel settore della new economy: Mario Monti con Microsoft (2004) e Neelie Kroes con Intel (2009).
Mentre quest’ultimo caso verte sull’hardware e il re dei chip adottava comportamenti escludenti (a danno di AMD) le cui dinamiche hanno radici robuste nella old economy, con Microsoft e Google la Commissione ha dovuto affrontare la complessità derivante da pratiche anticoncorrenziali “native” dei nuovi e dinamici mercati dei sistemi operativi e delle ricerche su internet. Da qui i lunghi tempi di istruttoria della Commissione: 4 anni per Microsoft e probabilmente altrettanti saranno necessari per Google (il caso è stato avviato il 30 novembre 2010).
In realtà la Commissione ha già individuato i comportamenti di Google che violano le regole del mercato interno. Ma uno in particolare è quello più problematico: nel presentare i risultati di una ricerca per un indirizzo, un volo, un ristorante o un hotel, Google sembra favorire i suoi servizi rispetto a quelli offerti dai portali concorrenti.
Problematico perché Almunia non ha scelto la semplice strada della sanzione (che potrebbe superare i 4 miliardi di euro considerando che nell’UE chi vìola le regole antitrust può essere multato fino al 10% del fatturato mondiale) ma quella degli impegni. Soluzioni agli illeciti anticoncorrenziali che la società imputata può presentare per evitare la multa ma che devono essere giudicati efficaci dalla Commissione e dal mercato (i concorrenti). Per due volte il mercato ha criticato le proposte presentate da Google perché non risolutive.
Nella terza e ultima proposta dello scorso febbraio, Google ha promesso di visualizzare, con pari rilevanza, i prodotti/servizi offerti da Google e quelli da portali concorrenti: se cercheremo “barbeque” e se Google Shopping ha barbeque da vendere, nella pagina dei risultati ci appariranno, allo stesso livello, tre barbeque venduti da Google e tre barbeque venduti da altri portali. La soluzione, che si applicherebbe soltanto per le ricerche europee, sembra a prima vista soddisfacente.
Ma come si sceglieranno tre i portali non-Google per i tre preziosissimi posti per catturare la volontà di acquisto dell’utente? Con il modello che fa innamorare gli economisti, ovvero un’asta. Ma neanche questo potrebbe andare bene, come dichiarato da Almunia durante un’intervista a Bloomberg rilasciata a margine del Forum Ambrosetti a Cernobbio. Forse perché il meccanismo di asta è sì efficiente, ma porterebbe ulteriori risorse economiche al soggetto dominante.
Adesso la palla passa nuovamente a Google che avrà la possibilità di risolvere i problemi segnalati dalla terza proposta di impegni o di trovare una nuova modalità di soluzione dei problemi anticoncorrenziali.
Difficilmente Almunia abbandonerà la strada delle ricerca degli impegni. Come ha ripetuto più volte, chiudendo il caso con una sanzione, la Commissione non contribuirebbe a indicare linee-guida comportamentali per un mercato così rilevante visto che quasi il 95% degli europei utilizza Google per le ricerche su internet.
Ma se Almunia non riuscirà a portare a casa la medaglia di Google in tempo, allora il caso passerà di mano al prossimo Commissario e i giochi potrebbero riaprirsi. E il dossier della Direzione Generale per la Concorrenza sul gigante di Mountain View sembra crescere. Oltre a questo caso e all’evergreen del rapporto con gli editori, si è aperto da poco anche il fronte Android. Sembra infatti che l’operatore dominante nel mercato dei sistemi operativi per smartphone e tablet obblighi i costruttori di smartphone Android a pre-installare le Google Apps (da Google Maps a Youtube, da Hangout a Chrome).
Come per il caso Microsoft quando il problema era il legame tra Windows e Internet Explorer e Windows Media Player, si ripropone la domanda: fino a che punto la gioia dell’utente di trovare un set esteso di funzionalità (e non il semplice sistema operativo) compensa il danno che subiscono i concorrenti da rimanere esclusi dagli occhi dell’utente alla prima accensione del device? Ah, saperlo…