Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, pubblichiamo il commento dell’editorialista Guido Salerno Aletta uscito oggi sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi
Ci risiamo. Ieri, titolone in prima pagina sul Corriere della Sera per l’amministratore delegato dell’Eni indagato per una mega-tangente. Si contesta la corruzione internazionale di politici in Nigeria, in relazione al rilascio di una concessione petrolifera del valore di un miliardo di dollari. Nel frattempo, una Corte londinese ha già sequestrato 190 milioni di dollari ai mediatori nigeriani.
E’ partito il solito tormentone: garantisti contro giustizialisti. La vicenda, invece, offre lo spunto per una riflessione più profonda sui conflitti in atto, che sono ormai asimmetrici per definizione, e che vedono una straordinaria contiguità tra guerra economica e guerra militare.
Gli Usa e l’Unione europea, ad esempio, ben si guardano dall’intervenire militarmente per restituire la Crimea alla Ucraina: nei confronti della Russsia, che avrebbe leso profondamente i principi della legalità internazionale annettendosela e poi ancora sostenendo gli ucraini russofoni che ambiscono all’indipendenza, si limitano a comminare sanzioni economiche e finanziarie. Al contrario, si inviano le armi quando si tratta di contrastare i regimi autoritari, sostenendo le fazioni ostili, e comunque si interviene solo dal cielo per evitare la carneficina del conflitto terrestre: “no boots on the ground”. In Libia, è andata così.
Le sanzioni economiche e finanziarie, che portano all’isolamento internazionale, sono un rimedio tradizionale nei confronti dei nemici dichiarati. La destabilizzazione attraverso la propaganda e le sommosse popolari, che una volta era praticata soprattutto dai partiti comunisti anche in Europa occidentale, viene effettuata sfruttando il potere dei media: è una soft-war quotidiana cui è quasi impossibile sottrarsi, se è vero che per mettere in discussione una leadership politica pencolante basta una vignetta irridente, oppure ad una foto imbarazzante. Per una carriera politica su cui cala la scure ce ne sono altrettante che prendono il volo: dietro una macchina fotografica ci sono altre macchine.
Figurarsi, poi, se ci si fa scrupolo, quando la destabilizzazione di una azienda concorrente, oppure di un Paese alleato, favorisce le proprie imprese e consente di ampliare la propria area di influenza politica. Non è casuale che, proprio in questi giorni, la Francia parli nuovamente di un intervento militare in Libia.
L’Italia è al centro di tanti interessi in campo energetico, dalla Libia alla Russia, dalla Algeria all’Iran. In uno scacchiere internazionale così perturbato, si può guadagnare parecchio spazio economico e politico destabilizzando le nostre aziende che lavorano all’estero.
Bisogna aprire gli occhi: il vero guaio per l’Italia non sarebbe l’ennesimo scandalo, ma recitare ancora una volta la filastrocca della vispa Teresa.