L’euforia di Wall Street per il collocamento boom di Alibaba potrebbe essere il primo inequivocabile segnale che l’egemonia americana sulla Rete è al tramonto e che il potere di Internet sta scivolando verso l’Asia. Secondo un commento di Federico Rampini su repubblica.it, cinesi, indiani, giapponesi, sudcoreani già rappresentano “l’altra metà del cyber-universo”. Di colpo l’America viene colta da un dubbio: siamo davanti a un bis della “sindrome Toyota” (la casa automobilistica che in tre decenni, ha tolto a General Motors il primato mondiale nella produzione di auto)?
I NUMERI DELLA SFIDA
I numeri della nuova sfida li ricorda il Wall Street Journal, lanciando l’allarme sugli “equilibri di potere di Internet che scivolano verso l’Asia”. Dopo il collocamento in Borsa di Alibaba, ben quattro su dieci delle maggiori aziende digitali per valore della capitalizzazione azionaria sono in Asia; erano solo due nel 2004, secondo i dati di S&P Capital IQ. Oltre al colosso cinese del commercio online ci sono altri tre gruppi cinesi: Tencent, Baidu, JD. com. Più indietro, ma in rapida ascesa, ci sono gruppi come Naver (Corea del Sud) e Rakuten (Giappone). Messi insieme, Alibaba, Tencent, Baidu e JD.com valgono circa 426 miliardi di dollari. Le quattro maggiori aziende di Internet americane – Google, Facebook, Amazon.com ed eBay.com – hanno una capitalizzazione di mercato complessiva di 797 miliardi di dollari.
Ventisei altre Internet companies con sede in Cina, Giappone o Sud Corea si sono già quotate quest’anno, raccogliendo un totale di 4,45 miliardi di dollari, secondo Dealogic, e Alibaba porterà su il totale dell’Asia di 25 miliardi. Per fare un paragone, negli Usa, 21 Internet companies che hanno effettuato l’Ipo nel 2014 hanno messo insieme 3,2 miliardi di dollari, mentre nove Internet companies in Uk hanno completato le loro Ipo per un totale di 4,7 miliardi di dollari.
“Quando penso alle sette grandi Internet companies del mondo tra cinque anni, penso a Facebook, Google, Apple, Amazon, Tencent, Alibaba e Baidu”, ha affermato Jim Breyer, uno dei più importanti venture capitalist, tra i primi a puntare su Facebook. Dal 2004, Breyer e i suoi partner in Cina hanno investito più di 2 miliardi di dollari in aziende del web con sede nel Paese asiatico.
POPOLAZIONE DIGITALE SEMPRE PIU’ ASIATICA
La Borsa è un importante indicatore di quanto velocemente stiano crescendo le aziende asiatiche e quale peso stiano conquistando sullo scacchiere di Internet. La loro espansione è per lo più confinata al continente asiatico ma questo basta a farne dei colossi, visto che il 45% dei quasi 3 miliardi di utenti di Internet del mondo sono in Asia, stando alle cifre fornite dalla International Telecommunication Union (Itu). In Cina, più di 500 milioni di persone si collega al web dagli smartphone. Il numero di utenti dei social media nell’Asia-Pacifico dovrebbe avvicinarsi al miliardo per la fine dell’anno, quasi cinque volte più del totale del Nord America, secondo la società di ricerche Webcertain Group.
Joseph Chen, chief executive di Renren, società cinese proprietaria di un social network locale che vale circa 1,2 miliardi di dollari, ha detto che “le aziende con grande capitalizzazione di mercato beneficiano delle dimensioni della Cina. La tecnologia è la stessa, ma quando la porti in Cina, vale di più”.
Va anche calcolato che esiste una barriera linguistica che rende i colossi americani come Facebook meno attraenti per le popolazioni asiatiche, che preferiscono attori in lingua locale. A ciò si aggiunga la censura che vige in Cina e che di fatto ha escluso dal mercato del Paese alcuni attori occidentali, come Google. D’altro lato, i colossi così popolari in Asia non sono molto noti in altre parti del mondo: il servizio di mobile instant-messaging WeChat di Tencent, per esempio, ha circa 440 milioni di utenti, ma quasi tutti in Asia. Però WeChat è molto più profittevole della rivale occidentale WhatsApp, che ha circa 600 milioni di utenti (e che è stata acquisita da Facebook) grazie a dei servizi aggiuntivi. Così Tencent ha un margine di profitto nel secondo trimestre 2014 del 32% contro il 27% di Facebook e il 21% di Google. La capitalizzazione di mercato di Tencent è di 148 miliardi di dollari, quella di Facebook di 194 miliardi. Ancora, l’anno scorso l’applicazione di messaging giapponese Line Corp ha messo a segno un fatturato di 323 milioni di dollari grazie ai giochi su mobile e alla vendita di emoticon e pubblicità, 16 volte di più delle revenues stimate di WhatsApp.
PROVE DI ESPANSIONE INTERNAZIONALE
Questo successo spingerà almeno alcuni dei colossi asiatici di Internet a cercare di conquistare i mercati occidentali, come ha indicato lo stesso Takeshi Idezawa, chief operating officer di Line, che ha già più utenti fuori dal Giappone che in patria e si vuole espandere ancora. Line si sta preparando anche per una possibile Ipo, a Tokyo o a New York, come Alibaba. “Siamo a un punto di svolta”, dice Idezawa sulle Internet companies in Asia. Anche Rakuten, il maggior sito di e-commerce giapponese, ha annunciato il progetto di conquista dei mercati internazionali e ha comprato il sito americano di coupon online Ebates per circa 1 miliardo di dollari.
Baidu, il motore di ricerca che ha il 79% del market share della ricerca Internet in Cina, ha lanciato un motore di ricerca per il Brasile e ora vorrebbe espandersi in Egitto e Tailandia. Sia Baidu che Tencent stanno investendo in società della Silicon Valley per affinare le loro tecnologie e sette delle 10 maggiori acquisizioni Internet di quest’anno sono state fatte da aziende asiatiche, con Alibaba e Tencent che hanno speso in totale più di 11 miliardi di dollari.
Il fondatore ed executive chairman di Alibaba Jack Ma ha dichiarato chiaramente che dopo l’Ipo vuole allargarsi sui mercati di Usa e Europa: “Nello scorso decennio ci siamo misurati con la nostra capacità di cambiare la Cina. Nel futuro saremo giudicati dall’innovazione che porteremo a tutto il mondo”.
QUANTO DURERA’ ANCORA IL VANTAGGIO AMERICANO?
Per Federico Rampini di Repubblica, in termini di innovazione la Silicon Valley californiana conserva parecchie lunghezze di vantaggio rispetto alla Cina: continua ad esserci una fuga di cervelli dalla Cina verso l’America, mentre non esiste un fenomeno paragonabile nella direzione inversa. Inoltre, il fascino dei prodotti concepiti e progettati nella Silicon Valley continua a catturare anche i cinesi: il boom di acquisti dell’ultimo modello di iPhone della Apple in Cina è stato superiore a quello registrato in America. Si avvera una regola fondamentale: anche l’innovazione tecnologica fiorisce meglio dove c’è libertà di espressione, società multietnica, rispetto delle diversità.
L’Asia per adesso si accontenta di innovazioni “pratiche” (gli asiatici, per esempio, sono all’avanguardia nelle applicazioni per smartphone come sistemi di pagamento) e della forza dei numeri, che da sole, però, non sempre bastano: pensiamo al caso di Renren, il già citato social network cinese che si è quotato nel 2011 e ha perso in tre anni il 77% del suo valore. Chi ha scommesso semplicemente sull’espansione degli utenti Internet cinesi ha dovuto ricredersi: Renren non è riuscita a crescere e a sfornare utili, nonostante i cinesi siano sempre più online.