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I commissariamenti migliorano i Comuni?

I commissari prefettizi migliorano le città cui sono preposti? Un argomento sul quale occorrerebbe indagare meglio sino ad approfondirlo, sia nei presupposti che generalmente determinano i commissariamenti per mafia e scioglimento che nei loro esiti, dal momento che in Italia hanno raggiunto una cifra importante (101), dopo aver toccato nel 2012 il record di 139.

A tutti questi vanno, ovviamente, ad aggiungersi i Comuni in evidente crisi esistenziale. Sono infatti oltre 460 i Comuni dissestati, sui quali gli Organi straordinari di liquidazione, di nomina ministeriale, incidono sensibilmente, soprattutto sulla portata dell’esercizio della loro autonomia costituzionalmente garantita. Un numero, quest’ultimo, destinato ad incrementare a seguito delle procedure di riequilibrio pluriennale, di cui agli artt. 243 bis-quater del Tuel, non andate a buon fine, particolarmente nelle regioni che da tempo occupano, nell’ordine decrescente, il podio in materia: Calabria, Campania, Lazio e Sicilia quasi ex aequo.

Un fenomeno serio spesso subito acriticamente e, dunque, poco affrontato sul piano delle soluzioni offerte, ma soprattutto in relazione alla loro utilità ragionata nelle diverse forme, cui l’ordinamento affida la gestione dei Comuni.
Il quesito da porsi è quello di capire ove e quando le situazioni dei Comuni commissariati in senso lato sono migliorate o viceversa, distinguendo i casi di scioglimento per mafia dagli altri.

Quanto ai primi, disposti come naturale conseguenza della funzione sanzionatoria esercitata dal Governo nell’ipotesi di infiltrazione o concreto condizionamento mafioso del Consiglio comunale, si fa una gran fatica ad identificare la differenza tra il periodo quo ante da quello ex post. Ciò in quanto diventa davvero impensabile supporre che da un commissariamento, fosse anche durato più di un anno, possa pervenire un effetto “educativo” tale da incidere positivamente sui comportamenti consolidati di alcune realtà specifiche, capace quindi di determinare cambiamenti radicali della pubblica amministrazione locale commissariata.

Un’istituzione che in certe geografie regionali – tendenti oramai ad espandersi altrove a causa di una ‘ndrangheta tanto pervasiva da infiltrarsi ovunque – è incancrenita non solo perché influenzata dalle intercessioni della politica bensì perché condotta da una burocrazia spesso collusa e corrotta.
La mission affidata all’organo commissariale diventa, pertanto, una operazione impossibile, conseguibile solo con misure straordinarie che vadano ad assicurare alla popolazione residente una civiltà amministrativa di buona portata e ad ingenerare sul territorio fenomeni culturali e occupazionali tendenti a fare crescere i saperi del vivere civile, ivi compreso quello di potere lavorare a prescindere dall’intercessione del mafioso locale. Non solo.

Nelle città di grandi dimensioni, interessate dal fenomeno, le cose si complicano e i miglioramenti a stento riescono ad essere percepiti, a causa del dilagare di un sistema colluso che interessa i decisori politici in senso lato, che coinvolge il peggiore ceto produttivo e associazionistico fino a rendere complici per necessità imponenti segmenti della popolazione succube da decenni delle ritualità della delinquenza organizzata, ivi erroneamente riconosciuta come la soluzione alternativa allo Stato.

Quanto all’altro genere di commissariamento – tendente a sostituire gli amministratori che si sono prematuramente arresi di fronte alle difficoltà gestorie o a quelli dimostratisi incapaci di amministrare la res pubblica locale con i bilanci resi al lumicino da politiche municipalistiche dispendiose e da una illiquidità determinata da una gestione quantomeno impropria, improntata a rintracciare il consenso attraverso l’utilizzo irresponsabile delle risorse – cambia la diagnosi e dunque l’esito della malattia. Ciò accade perché taluni sbagliano gli accertamenti relativi e, conseguentemente, l’individuazione della cura. Altri assumono comportamenti inadeguati a tal punto da non comprendere le realtà cui sono stati preposti, in relazione ai loro problemi organizzativo-burocratici e finanziari, nonché i bisogni della società civile amministrata.

Una specificità che caratterizza molti comuni del Mezzogiorno, oberati dai debiti, vittime di una maladministration che difficilmente trova eguali, con apparati burocratici viziati e viziosi. Condizioni di partenza spesso condizionanti a che molti dei commissari preposti non abbiano fatto una bella figura, peggiorando spesso le situazioni rispetto a quelle di accesso, tanto da pervenire frequentemente all’accesso a procedure straordinarie di riequilibrio dagli esiti incertissimi, nonostante gli sforzi e i passe via via strappati giudizialmente, con il contributo di leggi ad personas (Napoli e Reggio Calabria docent, ma non solo).

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