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I limiti di Matteo Renzi

La rottamazione come sistema di governo comincia a spaventare. Non è più solo un’espressione intesa a mandare in pensione un ceto politico comunista, postcomunista, postideologico onde spezzare i nodi corporativi che hanno condizionato la sinistra dal 1945 ad oggi. Ora Matteo Renzi – il nume di questo ennesimo avanguardismo futurista emerso nella storia d’Italia – punta a rottamare la classe generale della società. Non solo la parte politica, ma quella che dirige le principali attività produttive, il cosiddetto management o establishment, il cuore pulsante di un Paese che è castigatore di se stesso.

Se già la rottamazione politica di una quota cospicua del mondo rappresentativo dei partiti aveva suscitato non pochi dubbi anche fra chi non aveva i medesimi trascorsi dei rottamandi, il solo progetto di rottamare non più soltanto un ceto politico spento per usura, pigrizia, incapacità di leggere la contemporaneità, adesso che il presidente del consiglio (e segretario del principale partito del Paese) dichiara di voler mettere le mani sull’intelaiatura ossea e su quella venosa della penisola, comincia a fare aumentare, di molto, i dubbi circa la democraticità dei progetti «innovatori» e dei cerchi magici che esaltano a mito dell’«uomo del fare» l’ex sindaco di Firenze.

Nette e condivisibili, perciò, le enormi riserve che Piero Ostellino, sul Corriere, segnala alla considerazione degli uomini liberi d’Italia: un crescendo di «vizi» che stanno effettivamente emergendo e che lo stesso Renzi critica, ma non riesce a eliminare ed, anzi, coltiva nel proprio seno: «L’invasività della politica e della burocrazia sulla società civile e sul mercato»; la stessa «cultura politica statalista, dirigista, familista e clientelare della Prima Repubblica». Ostellino avverte dunque: «L’idea di cambiare la testa degli uomini, invece di cambiare il modo di fare politica, è la sindrome di tutti gli spiriti autoritari quando confondono le vittime (il popolo) con la causa (quella della politica) dei propri fallimenti».

Logica la riflessione di Ostellino sul renzismo inteso come ispirazione e come procedura politica: Renzi utilizza «il modo tipico di ogni autocrate che sente, e teme, di non essere più capace di convincere». E, infatti, proprio la politica dei roboanti annunci seguiti da decisioni parziali, parecchio inferiori alle promesse e neppure immediatamente operative, mette a nudo i limiti gravi di un personaggio, fascinoso quanto pretenzioso, che non dà ascolto ma pretende d’essere ascoltato e ubbidito. Non avendo peraltro nel suo bagaglio culturale ricette miracolose e, nel suo entourage, economisti presbiti che sappiano vedere la deflazione non come la coda della recessione (Padoan), ma piuttosto come la conseguenza dell’avere scambiato la politica col mero potere: che una ventata elettorale imprevista può facilmente smantellare.

Dopo i fallimenti (prevedibili) di Monti e di Enrico Letta, non è che s’intravvedano altre soluzioni nominative ad una crisi che peggiora di continuo. Ma bada Renzi a ciò che fai: non è il velocismo che ti si rimprovera; ma la pretesa di sapere e di fare tutto, mentre t’arresti dinanzi a troppi ostacoli. Allo strapotere di una associazione di magistrati che ormai pretende di legiferare (e comincia a riuscirci su questioni sensibili). Non reagisci dinanzi all’immaturità manifesta di uomini di governo (Scalfarotto) e parlamentari di battaglia (Mezzopane) sguaiatamente cedevoli verso un ordine giudiziario ormai al di fuori della sua collocazione costituzionale. Non hai modo di imbrigliare gli eurocrati che ti concedono la consolazione della Mogherini (auguri!), ma non ti rispettano come guida temporanea di un Paese ormai privo di sovranità nazionale e magari da colpire con ulteriori sanzioni economiche insopportabili. Ti trastulli di fronte ad un mondo che è sull’orlo della Terza Guerra Mondiale, e tu credi di replicare ad una poco felice battuta del Financial Times comprando un intero carrello di gelati sulla soglia di Palazzo Chigi, ma continuando ad ignorare i contenuti delle critiche dell’autorevole giornale che è considerato in tutto il mondo. Attento, Matteo, che un premier bambinesco e bizzoso, è un po’ troppo da sopportare: storpia.

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