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La nuova Sanità: recupero di efficienza e riforma della ricerca

Su Twitter il premier ha dichiarato che la “revisione della spesa non significa tagliare la sanità”. Twitter però non permette di andare oltre i 140 caratteri quindi diventa indispensabile un approfondimento. Appena due mesi fa si è concluso con le Regioni un Patto per la salute che punta ad ottenere 10 miliardi di euro di risparmi nel prossimo triennio. La novità della riforma è che per la prima volta si parla di efficientamento della spesa che reinveste i risparmi ottenuti. Sembra che il governo abbia capito che se da un lato c’è la possibilità di tagliare, dall’altro sussiste la necessità di investire.

DA DOVE SI PARTE

Sicuramente esiste ad oggi una situazione di partenza non semplice, dice il Ministro Lorenzin: “il primo problema delle Regioni italiane è la governance: cattivi manager, cattivi direttori generali…”. Il rischio sarebbe altro. Tagliare brutalmente la sanità nei periodi di crisi economica sarebbe un attentato al diritto alla salute dei cittadini ed un provvedimento recessivo. “Concordiamo con il Ministro Lorenzin che se vi fossero ulteriori tagli assisteremmo a una lenta e inesorabile cancellazione del carattere universale del servizio sanitario nazionale, fiore all’occhiello della Sanità italiana, rischiando di ledere lo stesso principio costituzionale del diritto alla salute e di costringere i cittadini a curarsi all’estero presentando comunque, con la mobilità transfrontaliera, il conto allo Stato stesso”, quanto detto da Stefano Raimondi, presidente Assobiomedica.

I TENTATIVI DEGLI ULTIMI ANNI

Le aziende ospedaliere vendono salute a TUTTI i cittadini e proprio per questo è necessario che la salute sia di ottima qualità e che la spesa per comprarla sia accessibile a tutti. Negli ultimi anni si è pensato di ridurre lo spreco attraverso gare pubbliche per forniture di beni e servizi sanitari incentrate sul massimo ribasso del prezzo. Questo ha comportato scarsa qualità e blocco della ricerca finanziata dalle grandi multinazionali sanitarie in l’Italia. Lo spreco economico e le turbative d’asta che esistono nelle PA sembra rappresentino il maggior male che non ci permette di avere quella sanità sana. Bisognerebbe pensare ad investire parte di quanto risparmieremo anche nel senso civico, ma per ora concentriamoci sul risparmio. Quale sistema pubblico di tutela sanitaria garantisce una minore spesa?

IL PRECEDENTE GOVERNO

Per garantire una minor spesa il precedente governo ha attuato i piani di rientro. Il report del Ministero ci spiega come, essendo tali piani l’applicazione di quella norma di sovranità del governo compresa nella riforma del titolo V in discussione al Parlamento e che sino ad ora è stata usata per commissariare gli assessorati alla sanità, gli stessi non siano altro che puri atti di limitazione della sovranità regionale, giustificati dall’incapacità dei governi regionali. Essi ottengono però innegabili risultati di contenimento della spesa a discapito dei diritti delle persone. Per citare impropriamente Macchiavelli “il fine giustifica i mezzi”. Non desta meraviglia quindi se pur rilevando alcuni miglioramenti, si registri un forte squilibrio tra “sistema salute, deficit finanziario ed erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza”.

COME RIDURRE GLI SPRECHI?

È utile ricordare la definizione di governo quale “insieme d’interventi economici ed organizzativi con i quali lo Stato assicura i fondamentali servizi sociali, la tutela della salute, mirando anche ad una più equa distribuzione del reddito fra i cittadini”. Allora riproponiamo il precedente quesito: quale migliore forma imprenditoriale statale può garantire una salute di qualità aperta a tutti e che garantisca una minimizzazione degli sprechi?

Un sistema:
– che si schieri a fianco dello Stato quale partner;
– attento alle linee di produzione, presente a fianco dell’operatore;
– che divori (nel senso di hungry alla Steve jobs) la tecnologia e che la utilizzi per ottimizzare i processi;
– costituito da giovani preparati, foolish ed hungry (sempre Steve Jobs);
– costituito da più operatori economici che insieme possano investire sulla PA;

La soluzione sarebbe dovuta arrivare da noi italiani, “il popolo più fantasioso, scaltro e controverso”, ma siamo stati troppo presi dal gossip politico e per prendere decisioni dettate dall’evidenza o dal semplice buon senso, non resta che ispirarsi ad uno straniero. Ad esempio gli svizzeri che con la società Okairos, credendo negli italiani, sono pronti a produrre a Pomezia il vaccino contro il terribile virus ebola, o come l’Inghilterra dove, anche grazie ai finanziatori privati che sostengono i laboratori di ricerca traslazionale, il pil cresce al di sopra del 2,7% (l’Italia arretra dello 0,2%).

LA POSSIBILE SVOLTA

C’è però un sentore di svolta nella sanità. Ad esempio Nicola Zingaretti, in merito alla produzione del vaccino anti ebola a Pomezia, dice: “bisogna essere vicini a questi picchi di innovazione ma anche guardare in faccia la realtà e capire che questo non basta più perché abbiamo bisogno di un sistema competitivo, e tutto il sistema Paese va cambiato”. Altri spiragli provengono dalla Calabria che pochi giorni fa ha firmato due contratti per la realizzazione di altrettante aziende ospedaliere da realizzare all’avanguardia della tecnologia e con la partnership di un privato.

Il tutto si basa su un progetto a lungo termine che potrebbe assicurare posti di lavoro meritocraticamente assegnati a giovani preparati e specializzati in quanto il privato ha quel “hungry” e quel “foolish” tale da allontanare quella parte “nulla facente e sprecona” della PA. È necessario trasmettere ai politici italiani il senso di hungry e di foolish dei giovani che saranno i nuovi medici, tecnici e manager della sanità e bisogna farlo entro l’autunno quando il Ministro Lorenzin presenterà “una legge riforma della ricerca scientifica e biomedica anche con l’obiettivo di attrarre capitali”.

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