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Iran, è l’ora della start-up economy: sarà a Teheran la prossima Silicon Valley?

La prossima Silicon Valley sorgerà in Iran? Le start-up iraniane non sono ancora nella classifica dei Technology Pioneers 2015 del World Economic Forum, ma potrebbero farne parte in un futuro non troppo lontano, perché la Repubblica islamica è l’ultimo Paese contagiato dal boom della start-up economy, come dimostra anche la nascita di un magazine online simile all’occidentale TechCrunch e chiamato Techly.co, scritto tutto in inglese ma fondato dagli iraniani Nasser Ghanemzadeh e Mobin Ranjbar e pubblicato a Teheran proprio per descrivere la rapida evoluzione del panorama hitech iraniano.

NUOVI TECH-IMPRENDITORI A TEHERAN

Ghanemzadeh è fondatore e Ceo di Opatan, la prima, forse l’unica start-up iraniana del cloud, nonché co-fondatore della community Iran Startups. Ghanemzadeh è anche dietro l’organizzazione di una serie di eventi hitech a Teheran, tra cui gli Startup Weekend. Ranjbar, caporedattore centrale di Techly.co, è a sua volta il fondatore di Shariksho, il primo spazio di co-working dell’Iran. “Ci sono 100 start-up nel Paese e stiamo crescendo rapidamente. Ogni settimana nasce una nuova start-up”, dice Ghanemzadeh al sito TechCrunch. Si tratta ovviamente di un ecosistema giovane, ma in pieno fermento. La maggiore start-up iraniana è un sito di e-commerce, Digikala, una sorta di Amazon locale, che varrebbe già 150 milioni di dollari. Insieme alle start-up ci sono anche le prime società di venture capital, come Simorgh, Shanasa Sarava, Sharif VC e MAPS. Anche gli eventi internazionali si affacciano in Iran, creando un ponte tra le esperienze del Paese islamico e quelle globali, come il recente FailCon Tehran e i citati Startup Weekend, dove gli imprenditori possono incontrarsi e mettere insieme idee e prototipi e uscire con una demo, un socio o anche un finanziatore. Questo aiuta a fare rete e a creare un ecosistema.

LA “SVOLTA” DI ROUHANI

Le idee e le competenze tecnologiche non mancano, ma in Iran la situazione è complicata dal quadro politico. Eppure qualcosa si muove, anche perché la tecnologia si è diffusa anche all’interno della società e probabilmente è destinata ad essere accettata sempre più come mezzo “lecito”, ora che il presidente Hassan Rouhani ha vinto la resistenza degli oltranzisti islamici e garantito l’assegnazione delle licenze mobili 3G e 4G ai due principali operatori Tlc del Paese, desiderosi di procedere con la realizzazione delle connessioni ultra-veloci per i loro milioni di abbonati (il Paese ha una penetrazione mobile del 120%). Navigare ad alta velocità da cellulare vorrà dire per gli utenti iraniani poter scaricare foto e video da Internet, con un grado di libertà finora impensata. Ovviamente gli iraniani da tempo usano software illegali per accedere a siti Internet vietati come YouTube e Twitter, ma finora il governo ordinava agli operatori telefonici di rallentare la velocità di connessione in modo da bloccare il download di dati. Rouhani adesso è disposto ad allentare il controllo su Internet e a far valere un atteggiamento più tollerante verso le tecnologie (in un Paese dove non solo Facebook e Twitter sono oscurati ma anche molti termini di ricerca, tra cui ‘donna’, sono messi al bando da Google). “Non possiamo lasciare i nostri giovani fuori dal resto del mondo”, ha detto il presidente, come riporta l’agenzia di stampa di stato (Islamic Republic News Agency). Negli ultimi mesi il governo ha anche permesso ai service provider di accrescere la banda per le connessioni domestiche fino a 10 megabit al secondo – poco rispetto ai 20-30 megabit dell’Occidente, ma già sufficienti per scaricare foto e video.

LA TECNOLOGIA CORROMPE?

Le scelte più “liberali” di Rouhani non arrivano senza forti contrasti. Il Parlamento iraniano si oppone e si è rivolto al ministro delle comunicazioni perché faccia rallentare di nuovo la velocità di Internet. Inoltre, uno dei massimi ayatollah, Naser Makarem Shirazi, ha chiesto al governo di revocare le licenze per il mobile Internet prima che le giovani menti siano corrotte da “filmati e foto peccaminosi”. La tecnologia va bene, secondo Shirazi, ma va prima “purificata” e poi data al pubblico. Non è detto dunque che il popolo iraniano abbia più libertà di accedere ai contenuti Internet (il blocco dei siti esiste ancora e in Iran è più appropriato parlare di una intranet che di Internet), ma le autorità sanno bene che le persone colte e gli imprenditori aggirano in ogni modo i divieti e si aprono al mondo occidentale e alla conoscenza. Il fiorire delle start-up, il solo fatto che si possa ipotizzare una Silicon Valley iraniana nel futuro, ne sono la prova.

LA PROSSIMA SILICON VALLEY

Sempre che abbia senso parlare di una prossima Silicon Valley: per molti osservatori, non ci sono ancora un Paese e un ambiente capace di competere con la vivacità dell’hub californiano. Si parla di volta in volta della Silicon Glen in Scozia, della Silicon Savannah nell’Africa orientale o del Silicon Gulf nelle Filippine; recentemente si è detto che Berlino potrebbe emergere come la nuova terra promessa dell’hitech, perché capace di attrarre talenti e innovatori, ma, come ha fatto notare Ciaran O’Leary, partner della società di venture capital Early Bird: “Berlino è nella giusta direzione ma deve fare ancora molta strada, è un ecosistema giovane e piccolo”. Del resto, nell’ultimo ranking delle città con i migliori ecosistemi per start-up, la Silicon Valley resta saldamente al primo posto, seguita da Tel Aviv, Los Angeles, Seattle, New York, Boston, Londra, Toronto, Vancouver e Chicago. Berlino è 15ma, preceduta da San Paolo del Brasile (13), mentre Bangalore è al numero 19. Il fermento dei Paesi emergenti è però un dato di fatto e molti sono pronti a scommettere sulla nascita di nuovi vivaci hub tecnologici in India, Cina e, chissà, anche in Iran.



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