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Al Qaeda e Isis, differenze e similitudini

In un momento in cui il presidente Obama sta compiendo il massimo sforzo politico per cercare di formare una coalizione internazionale il più ampia possibile per arginare la crescita militare e mediatica di ISIS, anche dall’universo jihadista giungono segnali di un negoziato per cercare di mediare la frattura tra il network di al-Qaeda e il gruppo di Abu Bakr al-Baghdadi. Non che questi negoziati siano una novità, perché prima dell’estate (e prima della fulminea avanzata di ISIS in Iraq) è stato lo stesso Zawahiri a mandare segnali di “appeasement” nei confronti del leader iracheno in nome di una lotta comune che allora era verso il regime di Assad in Siria e, oggi, è diventata contro la coalizione internazionale organizzata da Obama. Il leader di ISIS, però, non è mai stato recettivo in questa direzione, in parte per motivi “politici”, perché il suo gruppo è diventato negli ultimi mesi il più forte del panorama jihadista internazionale, in parte per motivi “ideologici”.

Infatti, Baghdadi è l’erede di quel Abu Musab al-Zarqawi, fondatore di al-Qaeda in Iraq, che dal network di Osama Bin Laden fu cacciato per l’efferatezza con cui conduceva la propria campagna militare nel Paese dei Due Fiumi non solo contro i “nemici” occidentali, ma anche contro gli stessi musulmani, qualora tacciati di eresia e blasfemia perché non rispettosi della “pura” interpretazione del Corano. Proprio questa diversa interpretazione della dottrina del “takfir” fu alla base della rottura tra Osama e Zarqawi, rottura che fu anche politica perché, se da una parte la durezza con cui Zarqawi portava avanti la sua campagna portò Bin Laden a temere un’eccessiva frattura nella stessa comunità musulmana irachena, ormai esasperata dagli attacchi di al-Qaeda in Iraq contro sunniti e sciiti, la stessa azione del gruppo portò Zarqawi a diventare il principale punto di riferimento del jihadismo internazionale con non poche “invidie” da parte di un leader come Bin Laden abituato ad essere il “primo” e allora costretto a rimanere rintanato nei suoi nascondigli in Pakistan e ad osservare la sua leadership piano piano venir erosa da un combattente come Zarqawi.

Baghdadi è figlio di questa divisione e proprio su queste diversità ideologiche ha fin da subito impostato la crescita del proprio gruppo anche in Siria in nome dell’autonomia, raggiunta nel suo maggior livello con l’annuncio di un califfato, massima aspirazione di tutte le realtà del jihadismo globale. Solo che l’annuncio del leader di ISIS, al contrario di altri annunci della formazione di altri califfati in giro per il mondo, è arrivato in un momento di forte rafforzamento militare e mediatico del gruppo, il cui apice è stata la presa di Mosul, e in un contesto geografico e sociale di forte impatto sulla umma musulmana. Infatti il confine tra Siria e Iraq è una di quelle linee che esiste solo sulla carta nella regione mediorientale, grazie alla fantasia del duo Sykes-Picot, su un territorio fortemente accomunato da legami sociali e tribali che era il cuore pulsante del califfato abbaside, l’ultima esperienza di califfato arabo distrutto dall’avanza dei Mongoli, che aveva come capitale proprio Baghdad.

Ed è a questa dialettica che Baghdadi fa riferimento e l’abbigliamento utilizzato durante il suo sermone tenuto a Mosul e divenuto famoso per la sua diffusione planetaria ne è un chiaro richiamo. Ed è questa anche la forza principale di Baghdadi, cioè avere la capacità di dare un fondamento e un riferimento chiaro ad un messaggio più volte utilizzato dal jihadismo globale, ma che finora era rimasto solo sulla carta o nella mente di un leader come Bin Laden, più innamorato della propria figura che interessato a dare forma al proprio messaggio.

Non può che essere letto come un segnale di disponibilità al dialogo da parte della leadership centrale di al-Qaeda (forse proprio a causa di questa attuale preponderanza militare e mediatica di ISIS rispetto a tutto il contesto jihadista internazionale) il fatto che l’ultimo richiamo all’unità sia arrivato da due gruppi come AQMI (al-Qaeda nel Maghreb Islamico) e AQAP (al-Qaeda nella Penisola Arabica). A scanso di equivoci, è bene sottolineare il fatto che tutte le voci che vedono queste due realtà qaediste esser passate dalla parte di ISIS sono totalmente infondate. Infatti, fatta eccezione per qualche residuale milizia nordafricana prima apparentata con AQMI, nessuno dei maggiori leader dei due gruppi ha mai fatto bayat (giuramento di fedeltà) nei confronti di Baghdadi, ma, anzi, in tutti i forum jihadisti, nonostante sia stata riconosciuta più volte la forza di ISIS, è sempre stata sottolineato il fatto che la propria fedeltà si è sempre riferita solo ed esclusivamente a Zawahiri.

Certo, all’interno dei vari contesti regionali qaedisti vi sono delle frange che vorrebbero abbracciare la causa del califfato di ISIS e lasciare al-Qaeda, la cui leadership è certe volte tacciata di immobilismo. Ed è proprio questa deriva che Zawahiri sta cercando di evitare in tutti i modi. E per fare questo sembra aver dato mandato a Nasir al-Wuhayshi, leader di AQAP, di perlustrare tutte le strade percorribili. Wuhayshi, infatti, è un leader importante (ex segretario di Bin Laden) che nell’immaginario del qaedismo potrebbe avere il ruolo di ponte tra la vecchia generazione legata alla leadership centrale del gruppo e le nuove leve sempre più attratte dalla narrativa mediatica di ISIS.

Perché l’attuale lotta all’interno del jihadismo globale è anche questo, uno scontro generazionale che al momento è sul campo siriano e sui media, ma che potrebbe anche esasperarsi a discapito della sicurezza internazionale. Baghdadi al momento non sembra essere un capo disposto a scendere a compromessi con leadership che non riconosce. E qualora ISIS diventasse troppo preponderante quale movimento principale del jihadismo non si può escludere che per recuperare il terreno perduto nella dialettica terroristica qualcuno tra le montagne del Pakistan o sugli altipiani yemeniti non decida che l’unica strada percorribile sia una nuova campagna terroristica in Occidente.

L’alleanza internazionale costruita da Obama è sicuramente un passo essenziale per evitare che la campagna militare contro ISIS non assuma nuovamente i tratti di uno scontro di civiltà. Altrettanto importante sarà, parallelamente, lavorare sulle reali cause che hanno portato Baghdadi e il suo gruppo ad avanzare così rapidamente. Solo in questo modo si potrà evitare che una volta venuto meno il nemico di turno, ne sorga un altro più forte e addestrato in un’altra parte del Medio Oriente. Mentre nel silenzio della Comunità Internazionale un Paese come la Libia piano piano sparisce. Ma questa è tutta un’altra storia. O no?

Andrea Margelletti è presidente del Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali


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