Due sono le tematiche geopolitiche calde, gli scenari all’attenzione degli analisti in questo momento. Ci sono le lezioni dell’Ucraina e della Crimea, dove emerge un nuovo tipo di guerra a forte carattere informativo con la mobilitazione di civili, milizie locali, gruppi paramilitari, contractor e infiltrati, da una parte e dall’altra. E vi è poi l’ipotesi di medio-lungo periodo di una sovversione internazionale con l’obiettivo, nientemeno, di eliminare le fondamenta classiche delle potenze e di inaugurare una nuova era utopica di potere distribuito, locale e idealmente pacifico, liberato da sovrastrutture che sfuggono al controllo diretto della comunità che dovrebbero rappresentare.
In mezzo vi è un percorso di transizione fatto di scenari intermedi, dove personalità carismatiche potrebbero catalizzare, via social media, il malcontento verso l’ordine costituito, presentandosi come liberatori dalle “false” democrazie capitalistiche dominate da banchieri, industriali e gnomi della finanza – e in questo percorso non disdegnare l’appoggio di reti anche criminali interessate a scardinare, indebolire o condizionare pesantemente gli apparati statali. Il temporaneo successo del gruppo Isis, capace di costruire un’effettiva sovranità in un ampio non-Stato desertico tra Iraq e Siria, è l’esempio di un percorso che dal momento militare “ibrido” conduce a quell’orizzonte ideologico “utopico” post-statale in cui la legittimazione del potere – oltre che su un rituale sanguinario intriso di atavismi pagani e pre-maomettani – è fondata sulla dimensione sacrale-teocratica, proprio nel momento in cui questa si attenua e viene meno nel vicino Iran, trascinato ormai dalla dinamica modernizzante di una società in pieno sviluppo capitalistico.
I ritardi della risposta politica regionale e il possibile scacco della democrazia irakena accentuano il rischio che la conflittualità emigri a occidente, verso le metropoli dove fermenta il risentimento degli esclusi e delusi, rispetto ai quali le migliaia di “migranti del jihad” mediterraneo possono fornire, nel linguaggio spesso cifrato della propaganda via web, una regia ideologica discreta e occulta. Passato nella fucina della crisi e a contatto con determinati attivatori ideologici, il generico risentimento può trasformarsi in odio verso l’occidente, elevato a potenza demiurgica e luciferina contro cui inscenare una lotta di liberazione dai tratti non più razionali, ma mistico-politici, escatologici e millenaristici.
Questo richiama uno scenario ideologico interno al mondo occidentale, un prisma dai confini indefiniti, ma saldamente agganciato a una narrazione di destra europea tradizionalista, forgiata dalla critica nietzschiana al cristianesimo, capace dunque di interpretare il rapporto con l’islam non più in termini di alterità e contro-identificazione ma di integrazione, alleanza, complementarietà, attraverso un’intelaiatura di segreti rimandi, dove la religione di Maometto è vista come ramificazione eterodossa di uno stesso grande fiume carsico, in ribollente attesa di rivincita contro l’ebraismo-cristianesimo e le sue epifanie democratiche, razionaliste-illuministe e idealistico-romantiche. Si riflettono in questo percorso tutte quelle speculazioni politico-filosofiche che nel secolo scorso hanno condotto o accompagnato l’ondata rivoluzionaria-conservatrice europea, tendendo a reinterpretare in chiave di moderno esoterismo la regalità sacrale-sacerdotale delle antiche civiltà.
Idee e suggestioni spesso proiettate su un orizzonte di metastorica mistica imperiale, in cui si vagheggia quella fusione tra ordine sovrannaturale e istanze politiche la cui assenza è il maggiore vulnus percepito dal radicalismo, sia quello interno al fondamentalismo islamico sia quello laico e agnostico (perfino New Age), che del primo è potenzialmente alleato nello sfarinamento per linee orizzontali del tessuto metropolitano occidentale. Se questa è la “carica metapolitica” di un assalto in piena regola alle democrazie liberali, rientrante negli scenari intermedi dove si inseriscono gli annunci di un contropotere dal carattere salvifico-carismatico, gli elementi di bilanciamento sono da ricercare sul terreno della prevenzione transnazionale, per esempio interrompendo le catene della droga, che pure si vorrebbe canalizzata legalmente nel corpo delle metropoli già sfibrate dalla crisi, forse per facilitarvi l’innesco di un “punto di non ritorno emotivo”.
Fondamentale sarà anche l’intenso studio delle condizioni politiche e sociali perché si realizzi (e dunque si eviti, o quando ciò sia impossibile, si vinca) la “guerra ibrida generalizzata”: si tratta di quei conflitti a media intensità, con uso creativo di mezzi informatici e militari, milizie e proxies, spesso guidati da agenti-intermediari tra potenze statali esterne e interessi locali, che richiedono qualcosa di più di un peace-keeping e qualcosa di meno di un peace-enforcing, laddove il termine che cade è “pace”, perché ciò che conta è il mantenimento di un ordine fluido che contempla la gestione della conflittualità ibrida degli irregolari. Si depotenzierebbe così la mistica “cospirazionista”, in realtà di ceppo gnostico-apocalittico, che con crescente parossismo manicheo, legge in ogni mossa dell’occidente il preludio alla Terza guerra mondiale.
Al centro del parallelogramma di forze che catalizzano la propaganda che quella conflagrazione evoca pericolosamente (con l’obiettivo, forse, di un salvifico rovesciamento millenarista), sembra di poter scorgere due governi: in Europa quello tedesco, accusato dall’imperante propaganda anti-euro di interpretare il dominio tecnico-economico dei processi politici, e poi naturalmente gli Stati Uniti, il cui presidente è al centro di una infowar concentrica e quasi senza precedenti dai tempi di Nixon. Due pilastri fondamentali di un ordine anti-terroristico e della lotta al crimine internazionale, il cui indebolimento rientra probabilmente nei progetti di un radicalismo trasversale al nord, occidentale (accidentale?) compagno di strada degli jihadisti a sud.
Articolo pubblicato sul numero di luglio 2014 della rivista Formiche