L’11 settembre scorso il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha annunciato un piano a più vettori, con lo scopo di distruggere l’organizzazione islamica Isis in Irak e Siria. Per capire meglio in cosa consiste il piano di Obama e le reazioni che ha ricevuto, ecco una ricognizione in alcuni tra i principali think-tank degli Stati Uniti, cercando di coprire quanto più possibile le diverse posizioni dello spettro politico del dibattito.
Csis (Center for Strategic and International Studies) – “La guerra all”isis – uno sforzo ad alto rischio” – Intervista a Nathan Freier
Domanda: Qual è il piano enunciato dal presidente Obama?
Risposta: Essenzialmente, il presidente ha avanzato l’idea di una ‘proxy war’, una guerra indiretta contro l’Isis lungo quattro componenti, con la parte più rilevante in termini di combattimento destinata all’esercito irakeno, alle milizie curde e alle forze siriane di opposizione. Nel tempo le quattro componenti del piano si combineranno con l’obiettivo ultimo di degradare le capacità dell’Isis, riconquistare le aree conquistate dall’Isis in Irak, e infine distruggere l’Isis in quanto minaccia alla stabilità della regione.
La prima componente riguarda il ruolo della forza militare aerea americana e quella dei suoi partner contro le postazioni Isis in Irak come in Siria.
La seconda componente prevede un crescente sostegno diretto da parte della coalizione guidata dagli Usa alle forze locali che attualmente combattono contro l’Isis sul terreno. Il Presidente è stato chiaro sul fatto che non ci sarà impegno diretto di militari americani. Per forze locali si intendono: esercito regolare irakeno, milizie curde peshmerga, milizie sunnite locali, ed elementi moderati della opposizione siriana impegnati sia contro le forze del Presidente siriano Assad che contro i miliziani dell’Isis.
La terza componente prevede l’aumento degli sforzi da parte della coalizione nel prevenire gli attacchi terroristici dell’Isis – presumibilmente sia in Irak e Siria che altrove – potenziando il lavoro di intelligence, limitando la possibilità di reclutamento all’estero e l’accesso alle risorse finanziarie e contrastando il messaggio estremista di cui l’Isis è portatore.
La quarta e ultima componente – secondo il presidente Obama – è quella di proseguire con l’assistenza umanitaria alle popolazioni vulnerabili oggi minacciate dall’Isis
D: Quali sono i principali rischi che una strategia di questo tipo porta con sé?
R: Innanzitutto, la risposta si basa su un ombrello di sostegno garantito da una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Questa coalizione dovrà dunque tenere conto di tutti gli interessi personali e calcoli degli attori che vi prendono parte, e l’approccio è molto differente a livello di stati, sotto stati e attori non-stati. Sarà difficile comporre le varie esigenze. Un altro problema, è che probabilmente il peggio della guerriglia irregolare del XXI secolo si manifesterà man mano che la campagna procederà. Già oggi Siria e Irak sono teatro di tremende nefandezze settarie, e sempre di più manifesterà la sua crudeltà. Bisognerà dunque tenere sotto controllo i rischi di escalation.
AEI american enterprise institute – “A strategy to defeat the islamic state” .
(tra gli autori del paper c’è anche uno dei più noti analisti neo-con degli Stai Uniti, Frederic Kagan)
Lo Stato Islamico pone una grave minaccia agli Stati Uniti e ai suoi alleati in Medio Oriente e nel mondo. La notizia che non sono in preparazione attacchi terroristici sul territorio americano è di scarsa consolazione. La posizione geografica, le risorse che controlla, la capacità e la determinazione dei suoi leader e combattenti ne fanno una realtà letale tra i gruppi simili ad Al Qaeda. Le capacità dell’Isis di offrire asilo e sostegno ai pianificatori di attacchi terroristici contro di noi sono oltre ogni minaccia mai conosciuta. Le migliaia di cittadini americani ed europei che combattono al fianco dei miliziani del’Isis costituiscono una minaccia senza precedenti alla nostra sicurezza. Lo Stato Islamico deve essere sconfitto.
Sviluppare una strategia per farlo è compito immane. La situazione oggi è negativa e il momento è assolutamente meno propizio per articolare un percorso verso una soluzione definitiva in Irak e Siria. Il disinteresse della America nei confronti del deterioramento della situazione nei due paesi ci ha privato della comprensione e dei fatti base di intelligence necessari ad articolare una strategia. Dobbiamo quindi perseguire un approccio iterativo di assunzione di fatti basici, sviluppando e comprendendo, costruendo alleanze sul terreno, in particolare con forze arabo-sunnite in Irak che saranno essenziali per definire le condizioni per le operazioni che seguiranno.
Il cuore della sfida che gli Stati Uniti devono affrontare in Irak e Siria sta nella capacità di aiutare gli arabi sunniti – da Baghdad a Damasco, in Turchia e in Giordania – di sconfiggere Al Qaeda e i suoi affiliati. Persuadere queste comunità ad aderire alla rifondazione di Siria e Irak è la sfida maggiore.
Cfr (Council of Foreign Relations, think tank che pubblica la rivista ‘Foreign Affairs’)
Intervista al Presidente Richard Haas:
Domanda: Quali sono i rischi collegati a questa opzione?
L’annuncio del presidente Obama di espansione della campagna militare contro l’Isis segna una reazione appropriata nei confronti di una minaccia crescente nei confronti degli Stati Uniti e dei suoi interessi. Ma l’obiettivo dichiarato del presidente Obama di distruggere l’Isis è irrealistico e la sua enfasi sul lavorare con l’opposizione siriana è discutibile.
Per costruire una forza in grado di sconfiggere l’Isis sia in Irak che in Siria, l’Amministrazione Obama avrà bisogno dei Paesi arabi sunniti, così come di Iran e Russia, che possono giocare un ruolo importante nell’influenzare il regime del presidente siriano Assad.
In particolare, sono stato sorpreso dall’enfasi posta dal presidente nella costruzione della opposizione siriana. Semplicemente perché non penso che sia il materiale adatto. Essa è debole e frammentata e uno sforzo di potenziarla potrebbe richiedere anni. Ci sono altre idee alternative che si possono mettere in campo, grazie alla aviazione militare, ma il Presidente non ha sviluppato queste idee.
D: Il presidente sembra non intenzionato a cercare un sostegno in Congresso. Non sarebbe più opportuno farlo?
R. A causa della ‘War Powers Act’ (la legge sui poteri di guerra del Presidente) Obama può fare ciò che vuole fino alle elezioni di medio-termine di Novembre. C’è la possibilità che dopo il voto Obama possa cercare qualche limitato segno di supporto dal Congresso.
http://www.cfr.org/counterterrorism/confronting-isis-requires-bigger-plan/p33426
Brookings Institution – Intervista a Tamara Cofman, Direttrice Centro per le politiche del Medio Oriente.
Se le quattro componenti annunciate dal presidente sono la strategia anti Isis della amministrazione, allora questa strategia era già pronta da settimane. C’è poco di quello che ha detto il Presidente che la sua amministrazione non avesse già dichiarato nei giorni scorsi.
Quello che mi colpisce in particolare è che, per molti versi, è un rovesciamento delle politiche per il Medio Oriente degli ultimi 6 anni, anni in cui il nostro Paese ha voltato le spalle alla regione. E il presidente non si sente in dovere di prendere più tempo per spiegare agli americani la reale natura della minaccia che l’isis pone agli Stati Uniti a ai suoi interessi e di spiegare perché questo nuovo approccio è necessario, con tutti i costi e rischi correlati.
Ciò detto, secondo me il presidente, nel suo intervento ha definito un obiettivo di guerra (cioè degradare/distruggere l’Isis) ma non un obiettivo strategico per le politiche degli Stati Uniti.
Belfer Center for Science and International Affairs presso la Harvard Kennedy School. Stephen Walt (titolare di un blog sul sito della rivista foreign policy)
La decisione del presidente Obama di escalation delle azioni militari degli Stati Uniti contro l’Isis è un azzardo mal consigliato e suggerisce che noi abbiamo imparato poco dai precedenti fallimenti in Irak e Libia. L’Isis è un brutale movimento estremista ma non una minaccia vitale agli interessi americani. I soli attacchi aerei non sono sufficienti. L’unica efficace soluzione di lungo termine è l’affermazione di governance effettiva nella regione dove l’isis agisce. Washington non può svolgere questo ruolo e il successo dipenderà dagli attori locali che in passato si sono dimostrati inaffidabili. In buona sostanza: gli Stati Uniti hanno appena avviato un altro impegno militare senza termine, in assenza di una chiara strategia, alleati inaffidabili e logica non convincente.
Cap (Center for american progress, molto vicino ai Democratici) – Hayes Brown:
Nel discorso di Obama c’è un passaggio che dovrebbe causare a tutti molta preoccupazione.
Nel sostenere che la lotta contro l’Isis sarebbe differente dalle operazioni militari di grande scala di durata decennale in Irak e Afghanistan, il Presidente ha escluso l’impegno dei nostri militari sul terreno. Piuttosto, ha detto Obama, gli Stati Uniti dipenderanno dalla potenza aerea militare e dal sostegno alle milizie locali che combattono l’Isis. Cosa ha detto Obama?: “Questa strategia di colpire i terroristi che ci minacciano – ha spiegato il presidente – assieme al sostegno di nostri partner impegnati in prima linea, è quella che ci sta dando risultati di successo in Yemen e Somalia” fine della citazione del presidente.
Questo passaggio è la cosa meno incoraggiante che Obama poteva dire. Yemen e Somalia sono stati bersaglio di centinaia di attacchi militari degli Stati Uniti, condotti soprattutto con droni ma anche con operazioni delle forze speciali e da missili lanciati da navi circostanti. Dopo circa 13 anni, usando la autorità garantita a George W. Bush nel 2001 per distruggere Al Qaeda, gli Stati Uniti sono ancora incapaci di prevenire la diffusione del terrore in questi Paesi.
Se Yemen e Somalia sono storie di successo nella lotta ad Al Qaeda, la guerra all’Isis sarà una faticaccia molto più di quanto non si vorrebbe far credere.
IL SONDAGGIO DI GALLUP
Questa una selezione panoramica del tenore di reazioni e commenti al piano annunciato da Obama di salto di qualità nella lotta all’Isis in Siria e Irak.
In conclusione, cosa ne pensano gli americani della minaccia rappresentata dall’Isis, del piano del presidente Obama e più in generale delle minacce alla sicurezza per il loro Paese?
Secondo l’istituto Gallup, il 61% degli americani oggi sostiene ancora la decisione di Obama di ritirare le truppe americane dall’Irak del 2011. Erano il 75% 3 anni fa.
Altro dato interessante che Gallup presenta: oggi meno americani ritengono che l’Iran sia la minaccia n. 1 al loro paese: nel 2006 erano il 33%, oggi sono il 16%.
LE RILEVAZIONI DI PEW
Altro tema che val la pena di segnalare è quello relativo alla correlazione tra minaccia percepita, politiche di sicurezza e diritti civili.
Secondo un sondaggio del Pew Research Center, il 63% degli americani considera l’Isis come una grave minaccia al proprio Paese.
Contestualmente, il 50% degli interpellati ritiene che il governo non abbia messo in campo adeguate politiche di sicurezza mentre solo il 35% degli americani ritiene che il governo sia andato troppo in là con politiche di sicurezza che erodono i diritti civili. Un anno fa – anche a causa dello scandalo scoppiato con le rivelazioni di Edward Snowden – erano il 47% degli interpellati.
Lorenzo Rendi (Radio Radicale, rubrica “Rassegna di Geopolitica”)