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Perché i piani di Renzi e Merkel non mi convincono

Riceviamo e volentieri pubblichiamo 

Com’era ampiamente prevedibile la nascita della Commissione Junker segna un doppio punto a favore del fronte dell’austerità e di Berlino. Le resistenze (prima) ed i paletti (dopo), imposti dalla Merkel sulla nomina del francese Moscovici all’ambito portafoglio degli affari economici e finanzi della Ue, fanno parlare non a torto di un Commissario già commissariato.

Il piano da 300 miliardi promesso per i prossimi tre anni è privo di alcuni strumenti essenziali e rischia di avere effetti controproducenti. Come rilevato in un’acuta analisi dai Professori Giavazzi e Tabellini, il piano ha un limite fondamentale: serve molto tempo per attuare un progetto di questa natura, in un contesto in cui la variabile temporale gioca un ruolo determinante, senza contare che l’aumento degli investimenti pubblici senza una politica di riduzione fiscale presenta molti rischi ed handicap.

La scommessa del nostro Premier, che punta tutto sull’intervento di Junker e della Bce per far ripartire la nostra economia, è quindi un triplo salto carpiato nel vuoto. Certo, l’Italia non è, e non può essere, estranea o indipendente dal contesto globale ed europeo, ma non può non affrontare e risolvere alcune questioni interne urgenti ed essenziali.

L’elevata pressione fiscale rappresenta quasi un unicum nel panorama europeo, al pari dell’elevata spesa pubblica e del deficit di riforme tese a ridare competitività e respiro alla nostra economica.

Perché non ripartire da qui, da uno shock fiscale e da misure utili ad attrarre investimenti?

Il piano Renzi, se un piano c’è, continua invece a favoleggiare interventi per 40 miliardi che nessuno, fatta eccezione per la ristretta cerchia dei fans, riesce a capire da dove arrivino, con coperture derivanti in parte da una spending review monstre (si annunciano 20 miliardi ma quest’anno ne sono stati tagliati appena 3) che dovrebbe veder luce, secondo le ultime dichiarazioni (vedi intervista odierna al Sole24ore), con un taglio del 3% ad ogni dicastero.

Certi che si riproporranno le infinite discussioni sulla validità e l’opportunità dei tagli lineari alla spesa pubblica, ciò che sembra più evidente è il tentativo di perseguire politiche di ridistribuzione in assenza di risorse.

C’è indubbiamente bisogno di misure volte a ritrovare una maggior equità sociale e tese a sostenere le fasce di bisogno, ma lo stesso provvedimento degli 80 euro, oltre a non stimolare i consumi, non è andato in questa direzione interessando solo una fascia di (parzialmente) garantiti.

Ciò che serve è cambiare pelle ed anima all’Italia ed all’Europa con la messa in atto di politiche innovative e di azione sinergiche tra gli Stati dell’eurozona. Solo così si potranno avere risultati significati e su larga scala.

La situazione è emergenziale ed eccezionale, ma non tutti, a quanto pare, sembrano rendersene conto. Non serve a nulla ostentare un consenso senza precedenti se poi si usa questo come una trincea e non già come motore per sostenere un’inversione di rotta.

Chi della politica post – ideologica ne ha fatto un mantra, dovrebbe ricordare che questa si ciba proprio della grande mobilità del consenso (su questo, ha ragione D’Alema) e che dichiarazioni a parte, il cittadino avverte su di sé il peso di un’Italia che da giugno è nuovamente in recessione ed in deflazione, in cui sale la disoccupazione ed il debito pubblico tocca quota 2.168 miliardi.
Anche questi dati, facili da leggere ed interpretare, si possono riassumere in tweet.

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