App economy, boom o bolla? Mentre la Commissione europea punta anche sull’economia delle app per il rilancio del settore hitech e dell’economia europea in generale, con creazione di nuovi posti di lavoro e recupero della competitività, uno studio realizzato da Deilotte in Gran Bretagna getta qualche ombra sulle potenzialità di guadagno del settore delle applicazioni mobili.
LE APP: PUNTO DI SATURAZIONE?
Secondo Deloitte, gli utenti di smartphone stanno perdendo interesse nelle app perché il numero medio di applicazioni scaricate per utente ogni mese è sceso nell’ultimo anno da 2,32 a 1,82. Inoltre, è salito il numero di utenti che non scarica mai app sul proprio smartphone, da uno su cinque nel 2013 a uno su tre quest’anno (il 31%). Infine, quasi nove persone su dieci non spendono mai soldi sulle app o altri contenuti per smartphone.
Deloitte indica che il mercato delle app non si sta riducendo ma che il minor numero di download per utente è dovuto all’aumento di utenti di smartphone con più di 50 anni, che sono meno interessati alle app, come sottolinea Paul Lee, capo della ricerca su tecnologia, media e telecomunicazioni di Deloitte. In più, le persone che hanno lo smartphone da diverso tempo tendono ad avere il loro set di applicazioni preferite e a un certo punto non lo ampliano più.
Questi dati non indicano per forza che la app economy non abbia un valore ma aiutano a disegnarne meglio i contorni. Secondo uno studio commissionato da Google l’industria britannica dello sviluppo di applicazioni mobili darà un contributo di oltre 30 miliardi di sterline all’economia del Paese entro il 2025. Ma che l’atteggiamento dei consumatori sia cambiato rispetto alla prima comparsa delle app sul mercato è innegabile per Phil Barnett, VP e general manager Emea di Good Technology: “Prima valeva la propensione al download, anche se l’interesse era modesto. Ora non è più così”, afferma l’esperto.
UN MERCATO DOMINATO DA POCHI BIG
Qualche ombra è stata gettata sulla salute della app economy anche prima dello studio di Deloitte. I piccoli sviluppatori di app si lamentano del fatto che un ristretto gruppo di aziende si accaparra quasi tutta la torta (la maggior parte dei dowload e dei guadagni) e per loro restano le briciole. L’acquisizione da parte di Facebook di Instagram nel 2012 e di WhatsApp quest’anno ha rafforzato questo squilibrio. “Se non si fa parte del gruppo scelto delle prime 200 o 300 app è molto difficile fare soldi in un app store”, sottolinea Ouriel Ohayon, chief executive di Appsfire, società che produce tecnologie per il mobile advertising.
Secondo VisionMobile, l’1,6% degli sviluppatori guadagna più del restante 98,4%. Questo si deve al fatto che ormai i grandi negozi online di app fanno capo a colossi (Apple, Google…) che possono permettersi di investire pesantemente nella pubblicità online. Guadagnare per i piccoli sviluppatori è difficile anche perché gli imitatori riescono rapidamente a copiare le app più popolari: l’ideatore di un gioco di puzzle chiamato Threes ha raccontato di aver impiegato più di un anno a svilupparlo, ma il primo copycat ha replicato la sua creazione in appena 21 giorni.
UE, LEADERSHIP A META’ NELLE APP
La Commissione europea da parte sua è convinta delle potenzialità della app economy. Secondo un recente studio condotto per l’Ue da Gigaom, il settore genererà un fatturato annuale di 63 miliardi di euro e varrà 4,8 milioni di posti di lavoro entro il 2018, con una crescita, rispettivamente del 260% e del 167%. Gli inserzionisti dell’Ue hanno speso 6,1 miliardi di euro nelle app nel 2013 e spenderanno 18,7 miliardi nel 2018. Le app a pagamento saranno una fetta sempre meno consistente del mercato ma si svilupperanno gli acquisti in-app, ed è questo settore che attrae la pubblicità. Inoltre, 28 aziende europee (per lo più dei Paesi del Nord Europa) hanno creato il 40% delle prime 100 app per fatturato di Ue e Usa, come Rovio che produce Angry Birds (Finlandia) e King.com che produce Candy Crush (Uk). Ma in Europa ci sono degli ostacoli da superare per un pieno sviluppo della app economy, dice Gigaom, come la carenza di competenze e la frammentazione tecnologica. Mancano cioè sviluppatori e piattaforme di sviluppo made in Europe, nonché connessioni a Internet 4G diffuse sul continente.
ITALIA: APP POCO “INTERNAZIONALI”
E l’Italia? “Si sta sviluppando una nuova porzione di economia che chiamiamo Mobile and App Economy”, afferma Andrea Rangone, coordinatore degli Osservatori del Politecnico di Milano. E il mercato è destinato a crescere”. Secondo l’ultima ricerca del Polimi, il valore complessivo dell’economia legata alle app salirà a 40 miliardi nel 2016 (2,5% del Pil). Tuttavia nel nostro Paese solo sette sviluppatori su 100 guadagnano più di 50mila euro al mese, mentre più della metà non arriva a mille euro al mese. “L’Italia non è indietro nel settore delle app sul fronte delle invenzioni delle applicazioni e della loro fruizione, dove siamo più avanti di altri Paesi”, spiega Rangone; il problema è rappresentato invece dall’alto numero di concorrenti e dalla difficoltà nel farsi conoscere, soprattutto a livello internazionale, con una buona campagna di comunicazione. Non a caso il 90% delle app italiane viene scaricato all’interno dei nostri confini.
LA CHIAVE DI VOLTA NEL MERCATO GLOBALE
VisionMobile conferma che perché l’app economy non resti una promessa mantenuta a metà la chiave è esportare i prodotti a livello internazionale: quest’anno le revenues della app economy europea ammonteranno al 19% delle revenues globali, pari a 16,5 miliardi di dollari, e a una crescita annuale del 12%, un buon risultato, ma il tasso di crescita globale è del 27%, trainato dal boom in Asia. Questo vuol dire anche che gli sviluppatori europei si ritagliano fette meno consistenti della torta dei guadagni. Siccome gli smartphone si stanno diffondendo a passi dai gigante sui mercati emergenti, la chiave di volta è rivolgersi al resto del mondo, superando i confini nazionali. La supremazia dei Paesi anglosassoni, in questo, è un mix dovuto alle competenze e risorse hitech e all’uso della lingua inglese.