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Ratisbona, Parigi, Berlino: l’eredità di Benedetto XVI

12 settembre 2006, 12 settembre 2008. Cadono in questi giorni gli anniversari dei due monumentali discorsi tenuti da Benedetto XVI, rispettivamente a Ratisbona e Parigi. Due perle teologiche che, insieme al discorso di Berlino del 22 settembre 2011, formano un trittico di impressionante bellezza che non cessa di rifulgere in mezzo a tanto chiacchericcio e rumore di fondo dei nostri tempi. Discorsi diversi quanto a contesti e occasioni, ma uniti da un comune denominatore: la critica della ragione positivista nella sua pretesa di ridurre, perché non “scientifica” ovvero non verificabile, la domanda circa il senso e l’ethos a fatto privato e soggetto alla discrezionalità delle coscienze, con la conseguente negazione di ogni valenza pubblica della fede e della teologia; la denuncia dei pericoli che questa visione comporta, primo fra tutti – come disse a Parigi – la “capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo”; l’invito, pronunciato a Ratisbona e sempre riproposto nelle tappe successive, al “coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza”; l’esistenza – affermata a Berlino – di una “ecologia dell’uomo”, cioè del fatto che “l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere”. Guardando a ciò che è accaduto in questi anni, non si può non riconoscere la carica profetica di un pensiero, quello del grande teologo racchiuso nell’umile pontefice, che forse proprio perché profetico è rimasto inascoltato, in primis dentro la chiesa, ma non per questo meno attuale. Urge raccoglierne il testimone.


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