Siamo un Paese ipocrita perché ancorato a una cultura pseudo-morale che rifiuta di ammettere pubblicamente che tra la politica e il denaro c’è un legame evidente e indissolubile. Ha avuto proprio ragione Cossiga in un libro-intervista a definire tale l’Italia.
L’INTUIZIONE DI COSSIGA
La prima interessante intenzione riformatrice sul tema è proprio riconducibile storicamente al Governo Cossiga del 1979. Proprio il Picconatore diede incarico di preparare un disegno di legge sulle lobby a Francesco D’Onofrio, un costituzionalista italiano formatosi all’Università di Harvard negli Stati Uniti, patria costituzionale del lobbying. L’intuizione di Cossiga costituiva allora senz’altro un’innovazione ideologica che mirava a fare superare la diffidenza quasi psicologica dei due maggiori partiti, Dc e Pci, nei confronti dei gruppi economici, rei di perseguire interessi particolari antitetici per la Dc alla concezione cattolica di bene comune, per il Pci, invece, all’interesse generale della classe operaia. L’intenzione era quella di legittimare istituzionalmente gli interessi di gruppo non solo territoriali ma anche di carattere professionale che, come tali, potevano anche avere l’obbiettivo di un’interesse economico, anche se di categoria, e non soltanto quello della rappresentanza sociale.
La finalità della legge era rendere trasparente i processi decisionali rispetto agli interessi in gioco. Purtroppo il Governo Cossiga durò in carica appena sei mesi e la cosa non ebbe seguito per la forte opposizione dei partiti. Il tema del finanziamento alla politica dei gruppi di interesse in Italia è stato sempre un tabù su cui poi la magistratura ha trovato terreno fertile per condurre la propria azione giudiziaria nei confronti della politica.
UNO SGUARDO ALL’ESTERNO
Le soluzioni adottate generalmente nei paesi occidentali si ispirano a due “filosofie”: quella “liberale” che punta sul ruolo dei privati, dei contributi volontari, e quella che punta sul ruolo dello Stato con il finanziamento pubblico dei partiti in base ai consensi. Il vantaggio della soluzione “liberale” è che lascia ai cittadini la libertà di finanziare le forze politiche che preferiscono. Lo svantaggio è che la soluzione “liberale” può accrescere di molto l’influenza politica degli abbienti rispetto a quella dei non abbienti. Il vantaggio della soluzione “statalista” è che riduce, almeno in teoria, il peso delle diseguaglianze di reddito. Gli svantaggi sono però numerosi: statalizza i partiti; obbliga ciascun contribuente a finanziare con le sue tasse anche i partiti non graditi; crea all’interno dei partiti forti e invisibili centri di potere che, controllando le risorse, se ne servono non solo nella lotta “fra” i partiti ma anche in quella “dentro” i partiti.
LA SITUAZIONE ATTUALE
La recente cattiva legge sul finanziamento dei privati ai partiti voluta dal Governo Letta e la totale mancanza di ogni regolamentazione delle lobby rischiano di intorbidire ancora di più la politica italiana. Infatti da una parte si è creato un sistema di finanziamento che, a partire dal 2017, si fonderà sul contributo dei privati. Dall’altra non esistono chiare regole per garantire la piena trasparenza sui contributi elargiti e sui soggetti elargitori. Un articolo della legge riguarda la pubblicità dei finanziamenti, superiori ai 5 mila euro fino al tetto massimo di 100 mila, resa di fatto facoltativa. In questo caso la pubblicità necessita del consenso del donatore, che se si tratta di una grande azienda ha tutto l’interesse a tenere nascosta l’elargizione in favore di questa o quella organizzazione politica per fare lobbying “occulto”. La disposizione fra l’altro è facilmente aggirabile, perché lo stesso soggetto elargitore può superare il tetto massimo dei 100 mila euro, con l’utilizzare più società comunque di fatto a lui riconducibili. A tutto ciò si aggiunga la mancata previsione di controllo e certificazione pubblica dei bilanci dei partiti che spesso fondano la propria tenuta economica sul capitolo “mezzi propri”.
Negli ultimi vent’anni sia il centrosinistra che il centrodestra non hanno avuto la forza di superare questo tabù sia per ragioni ideologiche il primo, che per interessi a tutela dei grandi gruppi economici il secondo.
REGOLAMENTAZIONE E TRASPARENZA
La riforma del sistema politico e delle istituzioni si fonda sulla regolamentazione-trasparenza dell’attività di lobbying, a maggior ragione dopo l’introduzione nel nostro sistema penale del reato di traffico di influenze illecite, molto controverso giuridicamente nella tipizzazione della fattispecie criminale. Se il centrodestra di questi anni non è riuscito ad imprimere questa svolta, rimanendo poi vittima del sistema incancrenito, la rifondazione dell’area liberaldemocratica, tanto a cuore oggi ai giovanotti di #SvegliaCentrodestra e di ItaliaUnica di Corrado Passera, passa pure su questa priorità programmatica per fare e organizzare in modo diverso la politica.
Già con Lorenzo Castellani, nel nostro libro “Pensare per governare, appunti per una destra globale”, ho sostenuto senza infingimenti, che con lo sviluppo dell’economia globale la forma di scambio del libero mercato sembra investire sempre di più la politica con una continua osmosi tra elettori, finanziatori e decisori pubblici. Pure di questo si dibatte pubblicamente, in tutte le mature liberal-democrazie d’occidente.