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Sinodo sulla famiglia. Dibattete quanto volete, ma giù le mani da Paolo VI

Prende sempre più quota il dibattito a pochi giorni ormai dall’inizio del Sinodo straordinario sulla Famiglia. Il cardinal Kasper, intervistato dal Mattino la settimana scorsa, ha insistito nel ribadire che la dottrina sul matrimonio non si tocca, non cambia, ma che può essere “approfondita” perché “non è un sistema chiuso, ma una tradizione viva che si sviluppa, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II”. Da qui ne discende, dice a proposito dell’indissolubilità del matrimonio, che “bisogna verificarla in situazioni complesse”, ovvero che bisogna valutare caso per caso, all’insegna del discernimento pastorale. Bene. Ma questo non significa forse affermare che, in certe situazioni e a certe condizioni, l’indissolubilità del matrimonio può venir meno? A me pare di sì. E questo come si concilia con l’assunto che la dottrina non cambia? Inutile girarci intorno, impancandosi in sofismi teologici: un conto è lo sviluppo del dogma, per come lo intendeva il card. Newman e per come è stato inteso dal Vaticano II (quello vero, non quello “virtuale” di cui ha parlato Benedetto XVI), ovvero di un rinnovamento non contro né oltre ma nella tradizione, dove lo Spirito suscita modi e forme nuove per annunciare le stesse verità di sempre; altro conto è l’approccio di chi, alla Kasper, partendo dal basso e dalle situazioni contingenti, arriva pian piano a smontare di fatto la dottrina. Tertium non datur. Su una cosa Kasper probabilmente a ragione, quando dice che il bersaglio delle critiche alla sua tesi, illustrata lo scorso febbraio durante il concistoro sulla famiglia, non è lui bensì papa Francesco. Ma, anche qui, forse sarebbe stata necessaria una maggiore cautela da parte del porporato. Non serve certo alla causa dare l’immagine di una chiesa divisa, con alcuni cardinali dalla parte del papa (in primis, manco a dirlo, Kasper), e altri a lui ostili. E’ un vecchio e logoro schema che di cui francamente non se ne sente il bisogno. Né tantomeno suggerire, come ha fatto lo storico Melloni sul Corsera, impropri paragoni (complice magari la prossima beatificazione di Paolo VI da parte di papa Francesco) tra la situazione in cui si trova Francesco sulla questione della famiglia, e quella in cui si trovava Paolo VI all’indomani del Vaticano II, costretti entrambi a dover fronteggiare una fronda interna ostile al cambiamento. Perché è vero che Paolo VI fu contrastato, e non poco, ma in senso opposto a quello indicato da Melloni, cioè da quanti – in primis proprio la Scuola di Bologna di cui Melloni fa parte – sulla scia di una lettura del Vaticano all’insegna della “discontinuità” o se si vuole della “rottura”, spingevano per e non contro il cambiamento. Esemplare in tal senso fu la vicenda dell’Humanae Vitae (che per quanto mi riguarda da sola giustificherebbe non solo la beatificazione ma anche la canonizzazione di papa Montini), con Paolo VI in totale solitudine e letteralmente accerchiato da quanti, teologi, vescovi, laici, opinione pubblica, ecc., premevano per un’apertura del magistero su pillola, controllo delle nascite e via dicendo. Curiosamente, gli stessi ambienti che oggi – quasi a voler pareggiare i conti di quella partita – spingono per una apertura della chiesa sui divorziati risposati.


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