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Space Shuttle, gli Usa tornano a volare (senza i russi)

La Nasa il 16 di settembre (alle ore 4 pm) ha annunciato il successore, o meglio, i successori dello Shuttle. Al completamento delle attività di selezione delle proposte all’interno del programma Ccdev (Commercial crew development) la scelta è ricaduta su SpaceX e Boeing. I primi voli sono previsti per il 2017. Finalmente gli Stati Uniti ripartono. Finalmente, dopo ben tre anni dal pensionamento dello Shuttle, gli obiettivi appaiono chiari, e la capacità di realizzarli anche. Ma se nell’attesa del 2017 volessimo fare un bilancio degli ultimi 30 anni di attività?

Lo Space Shuttle nasce, come idea di programma, negli anni 70 con il primo volo realizzato il 12 di aprile 1981. Fino al luglio 2011 si sono realizzate 135 missioni, di cui 2 con tragico mancato ritorno dell’equipaggio. Facendo dei semplici calcoli matematici, poco più di 4 missioni ogni anno, con un costo di oltre 400 milioni di dollari per missione. Rischio di incidente fatale circa 1 ogni 50 voli. Un bilancio e delle statistiche che certamente fanno riflettere.

SpaceX ha realizzato Dragon V2, navicella molto curata, anche nel design degli interni. Boeing ha realizzato Cst-100, più classico come disegno, ma con la stessa capacità di carico di Dragon (7 astronauti). In realtà esiste addirittura una terza navicella spaziale in produzione negli Stati Uniti, sempre sotto contratto Nasa, ossia Orion, costruita da Lockheed Martin.
Tutte e tre queste navicelle sono capsule e quindi sembrano dimostrare la netta superiorità di questo tipo di veicolo rispetto al disegno dello Space Shuttle, definibile come un lifting body con possibilità di atterraggio in pista. Sembrerebbe proprio essere questo il caso, o forse il verdetto della storia. Nulla di più lontano dalla realtà. Lo Space Shuttle appare molto simile a un aereoplano.

In effetti lo è. Lo Shuttle seppur in partenza venga portato “a spalla” di due giganteschi razzi a combustibile solido, gli Srb, per il resto vola nell’atmosfera. Utilizza portanza e resistenza come un comune velivolo, anche se nella particolarità dell’inviluppo di volo che lo rende(va) capace di arrivare fino a fuori dall’atmosfera, per poi farne rientro sfruttando solo ed esclusivamente (o comunque principalmente) le forze aerodinamiche. Lo Shuttle può essere legittimamente definito come il progenitore del trasporto di futura generazione, ossia di quella classe di aeromobili, forse definibili “spazioplani”, che porteranno il mondo aeronautico a convergere verso il mondo spaziale. Velivoli in grado di operare al di sopra della fascia aeronautica in senso proprio, e fino al limite dell’atmosfera. Magari con traiettorie suborbitali.

Il vero vantaggio della capsula rispetto a una configurazione di tipo Space Shuttle è la semplicità. Semplice da disegnare, semplice da realizzare, semplice da costruire. Funziona e non dà problemi. I russi con la Soyuz lo hanno capito dall’inizio, e hanno avuto una serie lunghissima di successi. La Cina agli inizi del 2000 riprese il disegno originale della Soyuz realizzando la Shenzhou (vascello divino).

Ma il vero limite di una capsula è sulla specificità delle operazioni che può portare a termine. Il principale utilizzo previsto e prevedibile è portare astronauti verso la Stazione spaziale internazionale e farli ritornare. La capacità operativa dello Space Shuttle (o similare) è enormemente maggiore, come capacità di carico e come capacità di crescere in prospettiva futura. Maggiore capacità operativa, ma anche maggiore complessità e rischio.

La Soyuz è semplice, efficace, efficiente ed economica. Così lo saranno Dragon, Cst-100 e Orion. E con esse potremo continuare ad andare e tornare dalla Stazione spaziale. Ma per il futuro bisogna aspettare ancora.



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