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Sono tornati i firmaioli

I firmaioli, quella genìa di intellettuali (veri o cinematografari) che sono soliti sottoscrivere appelli di protesta contro tutto, nella convinzione di proporsi in tal modo come degli ottimati dell’anticonformismo, i campioni del moralismo politico e gli artefici di un futuro naturalmente «migliore» del presente, si sono brillantemente distinti, negli ultimi tempi, per il loro totale silenzio sulle imprese dei tagliagole dell’Isis e sull’espansionismo colonialista del Califfato.

Mentre la gente comune, che ha famiglia e magari anche un po’ d’orgoglio di patria e un pizzico di desiderio di sopravvivere allo scempio di civiltà implicito nella barbarie dell’estremismo islamista, non parlava d’altro che delle decapitazioni di giornalisti (intellettuali o servi dell’imperialismo americano?) e di tanti povericristi, loro, i firmaioli, tacevano. Non s’immischiavano. Si tiravano fuori da ogni giudizio: magari talvolta parteggiando per gli eroi dal volto coperto, ebbri di sangue e in corsa per fare carriera nella loro organizzazione d’atrocità collezionando delitti stragisti.

Ai tempi del terrorismo rosso e nero, italiano o internazionale degli anni Settanta del Novecento, la cultura rinunciataria vide primeggiare i firmaioli, i quali mostravano di condividere ogni atto che servisse ad imbarbarire la lotta politica e a porre in crisi lo Stato, scambiandolo per un potere occulto da abbattere senza pietà. Il loro slogan più moderato fu «né con lo Stato, né con le brigate rosse». Le loro sollecitazioni più abituali, ospitate dai media patinati, risultarono esplicitamente fiancheggiatrici del terrorismo, costituendo il brodo di coltura dell’antistatalismo e dell’antipolitica distruttiva. A leggere i loro documenti – a tratti sottoscritti addirittura da migliaia di firme, per dare l’impressione di costituire un esercito, e non poche decine di persone che si autocelebrano e si pubblicizzano l’un l’altra nelle pagine e nei servizi «culturali» di giornali e tv – si capivano le loro ragioni contro, ma non si trovava mai una indicazione innovativa e positiva.

Ebbene – anzi, emmale – ora i firmaioli, silenti sui temi che stanno incontrando le preoccupate sensibilità del mondo, sono improvvisamente tornati, almeno in Italia. O per schierarsi contro le forze dell’ordine che, nel cercare di difendere lo Stato dall’assalto dell’illegalità sistematica particolarmente in alcuni territori dominati da camorre, talvolta compiono errori umani uccidendo ragazzini che non si fermano all’intimazione di un posto di blocco di controllo notturno. O per schierarsi, per la millesima volta, in una sorta di fronte patriottico per «salvare la costituzione più bella del mondo», a loro giudizio minacciata da progetti di riforme strutturali invero da decenni e decenni fatti archiviare in Italia dalle caste corporative che sopraffanno politica, istituzioni, legalità, democrazia.

A questo punto, pare giunto il momento di alzare una volta per tutte la voce: diffidate dei firmaioli. Che non sono la coscienza critica del futuribile, ma soltanto i residuati del peggiore conservatorismo, ben remunerato quanto rozzamente altezzoso.


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