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Icann, ecco la nuova guerra ben poco virtuale

Il 2015 prepara una novità storica per il mondo della Rete: il governo degli Stati Uniti cederà il controllo dell’Icann, l’organizzazione no-profit dei nomi di dominio di Internet nata con il compito di assicurare la sicurezza, lo sviluppo e la stabilità del web.

La National telecommunications and information administration, o Ntia, parte del dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, ha fatto sapere che intende “passare le funzioni fondamentali legate ai nomi di dominio di Internet alla comunità globale multistakeholder” e ha chiesto all’Icann di dirigere le trattative internazionali per trovare un nuovo modello organizzativo che sostituisca il ruolo finora detenuto dalla Ntia come supervisore del sistema dei nomi di dominio globale.

L’annuncio è arrivato dopo le richieste presentate dalla comunità internazionale, con Ue e Brasile in testa, agli Stati Uniti affinché riduca la sua influenza su Internet, richieste che si sono intensificate dopo le rivelazioni sulla capillare rete di sorveglianza tessuta dall’intelligence Usa e lo scandalo del Datagate.

CHE COSA CAMBIA L’ANNO PROSSIMO

In pratica, il cambiamento annunciato permette di terminare a settembre 2015 il contratto che l’Icann ha con la Ntia e che autorizza quest’ultima a gestire una serie di mansioni, come la registrazione e cancellazione dei nomi di dominio. La Ntia ha detto che tra i principali obiettivi del nuovo modello c’è quello di preservare la sicurezza, stabilità e resistenza del Dns e mantenere la natura “aperta” di Internet. La Ntia ha aggiunto che, in linea con le indicazioni del Congresso Usa, non accetterà che il controllo dell’Icann passi a un’organizzazione guidata da un singolo governo e nemmeno a un’organizzazione inter-governativa: nel “nuovo” Icann, oltre ai governi, dovranno essere rappresentate le aziende e tutta la comunità di Internet.

Già a ottobre, in un’intervista rilasciata al Corriere delle Comunicazioni, il presidente e ceo dell’Icann, Fadi Chehadé aveva dichiarato: “L’Icann è troppo Usa-centrico, non è un modello perfetto e bisogna avere il coraggio di migliorarlo” per poi aggiungere: “Occorre evolversi verso un modello ‘multi-equal-stakeholder’, e sottolineo la parola ‘equal’: in pratica non deve esserci un gruppo di persone che prevale sull’altro solo perché è più potente”.

IL DIBATTITO AMERICANO

Anche all’agenzia Reuters Chehadé ha ripetuto le sue rassicurazioni sul fatto che la nuova Icann con modello multi-stakeholder non sarà preda delle tendenze liberticide di alcuni governi ma continuerà ad arginare chi vuole limitare l’apertura e la libertà di Internet: “Tutti pensano a quei tre-quattro Paesi che possono creare problemi”, ha detto Chehadé, “ma nel mezzo ce ne sono altri 150 che condividono i nostri valori”.

Il vice-segretario del dipartimento del Commercio americano Lawrence Strickling ha difeso la scelta americana: “Nessuno mi ha ancora spiegato come uno di questi singoli governi potrebbe prendere il controllo dell’intero Internet”. “Davvero pensa che Vladimir Putin non possa trovare un modo per assumere il controllo della Rete? Cina e Russia sono pieni di risorse”, gli ha risposto il parlamentare Repubblicano della Louisiana Steve Scalise. “Il modello multi-stakeholder è in grado di fermare queste derive”, ha ribattuto Chehadé.

BUSINESS WEEK: “UNA CATTIVA NOTIZIA”

Ma per molti osservatori americani, la fine del controllo Usa su Internet è una cattiva notizia. “La Cina può evitare oggi che utenti entro i suoi confini accedano a un sito Internet che promuove il separatismo tibetano”, ha scritto il Business Week, “ma non può impedire a tale sito di registrare il suo nome di dominio. Questo è il vantaggio dell’attuale sistema in cui una nazione sola, gli Stati Uniti, controllano l’assegnazione dei nomi di dominio: nessun altro Paese a parte gli Usa ha il potere di decidere quale idea meriti un indirizzo web e, anche se la politica americana può essere discutibile su altri fronti, su quello del mondo online si è dimostrata un’affidabile paladina della libertà di espressione. E’ un cattivo segno che gli Usa abbiano scelto di rinunciare a questo potere”.

TENDENZE LIBERTICIDE

“Il rischio è che ora regimi illiberali riescano a influenzare l’organismo tecnico per avallare censure della Rete nei loro Paesi o oscurare vicini scomodi”, concorda Massimo Gaggi del Corsera: il presidente Barack Obama, che anche sullo scacchiere internazionale sembra peccare di eccesso di prudenza, starebbe commettendo lo stesso errore nella gestione del sistema di distribuzione dei domini di Internet, “la linfa vitale dell’era digitale”. “Il rischio che Paesi come Cina, Russia e Iran mettano in piedi maggioranze per avallare censure della Rete nei loro Paesi o addirittura per oscurare vicini scomodi (Hong Kong o l’Ucraina) sta diventando consistente. Sono le stesse imprese del Web, la Internet Commerce Association, a lanciare l’allarme”.

L’EUROPA E’ CONTENTA

Diversa la posizione ufficiale dell’Ue: il commissario all’Agenda digitale Neelie Kroes ha definito la decisione del governo degli Stati Uniti di cedere il controllo dell’Icann un passo avanti per proteggere l’Open Internet. La Kroes ha riconosciuto però che “è un duro compito” assicurare che “la transizione a un sistema di nomi globalizzato non metta a rischio la stabilità e la sicurezza degli indirizzi sul web”.

Anche molte associazioni internazionali che difendono gli interessi commerciali sono a favore del cambiamento, perché, dicono, le decisioni dell’Icann sono state troppo influenzate dagli interessi dell’industria che vende i nomi di dominio e le cui quote rappresentano la fonte di guadagno principale dell’Icann. “Non è concepibile che l’Icann sia responsabile per il mondo intero, così è come se non ci fosse alcun potere”, sostiene Steve Del Bianco, executive director di NetChoice, associazione che rappresenta grandi aziende del commercio su Internet.

DIETRO LA DECISIONE AMERICANA

Dietro la decisione degli Stati Uniti c’è almeno in parte la vicenda dello spionaggio della Nsa portata allo scoperto dalle rivelazioni di Edward Snowden, che ha spinto gli altri Paesi a chiedere un passo indietro dell’America. Gli Usa negano e sostengono che fin dalla creazione dell’Icann nel 1998 era nei piani di migrare a un certo punto a una forma di controllo internazionale. Sicuramente è così, ma il Datagate potrebbe aver accelerato i tempi.

Certo è anche il desiderio di Ue e Paesi emergenti di liberarsi dal predominio hitech americano: se su tanti prodotti e servizi è ancora l’America a dettare legge almeno sulla governance di Internet si chiede un approccio multistakeholder. “Questo è un passo nella giusta direzione per risolvere importanti dispute su come viene governato Internet”, dices Gene Kimmelman, presidente di Public Knowledge, gruppo che promuove l’accesso aperto alla Rete.

All’Europa e ai Paesi emergenti sta particolarmente a cuore la questione dell’assegnazione dei nomi di dominio e su questo fronte la capacità dell’Icann di vigilare in modo equo è stata messa in dubbio perché l’ente ha allargato enormemente i nuovi domini, creando dot.book, dot.sucks, e così via (tutte nuove fonti di entrate per l’Icann): tra questi nuovi domini ci sono anche quelli del vino (come .wine e .vin) cui l’Europa, capitanata da Francia e Italia, si oppone perché non permetterebbero di riconoscere l’indicazione geografica protetta.

UN LUNGO PROCESSO

Il cambiamento non avverrà comunque dall’oggi al domani. Intanto, tre parlamentari americani hanno introdotto una legge per impedire al dipartimento del Commercio di cedere la sua sovranità sull’Icann prima che il Congresso esamini uno studio indipendente su tutte le conseguenze di questa decisione. Inoltre, l’Icann sta studiando il nuovo meccanismo di gestione e vigilanza: il processo è lungo e aperto a molti portatori di interesse, non solo governi. Chehadé su questo è stato categorico: “Bisogna fare le cose per bene”, ha detto, “non c’è nessuna fretta”.

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