La prima legge di stabilità targata Renzi, che molti hanno definito coraggiosa ed altrettanti deludente, un merito sembra comunque averlo già. Un merito, per così dire, fuori dal merito. Un merito tutto politico.
Fin dal suo varo (o meglio, dell’annuncio del suo varo) essa sembra aver rappresentato un vero e proprio spartiacque: ha diviso gli industriali (gli “ex-padroni”) dai sindacati tanto che Landini ha confermato lo sciopero generale, mentre Confindustria ha ossequiato lo sforzo del Governo. Ha riaffermato le divergenze culturali interne alla triade a tal punto che per la neosegretaria Furlan “molti aspetti della manovra sono positivi” mentre per la Camusso “è una legge finanziaria che non risponde alle vere esigenze della società”. Ha riaperto le ferite a sinistra del PD (per Fassina si tratta di “una manovra iniqua”) ma soprattutto, ha ricomposto la maggioranza, da un lato (Sacconi: “Ncd difenderà al legge di stabilità in Parlamento”), e l’opposizione, dall’altro ( Brunetta: “Fi voterà contro la legge di stabilità).
Lo si voglia o no, la maggioranza che darà la fiducia a questa finanziaria – per la prima volta, dopo anni, con una chiara connotazione politica – non potrà più essere definita una maggioranza “del presidente” o, più forbitamente, “di emergenza nazionale”.
Il tempo dei tatticismi sembra finito per tutti. Anche il tempo delle difese più o meno ideologiche delle sigle sembra al tramonto. L’Italia ha bisogno di una maggioranza politica chiara, vera, possibilmente coesa, che crede in quello che fa, che si riconosce, si tutela e non ha timore nel riproporsi sui territori.
Una maggioranza, insomma, di cui nessuno si vergogni!
Questo il salto di qualità atteso e fortemente invocato. Questa la prova di maturità su cui si gioca la vera «fiducia» del Governo e la credibilità del Premier in Europa ma soprattutto in Italia.