Non ha “spianato” la vecchia guardia PD, il premier Matteo Renzi, nell’ultima direzione dei democratici, ma il sindacato e la Cgil in particolare. Certo, D’Alema e Bersani sono usciti con le ossa rotte e contusioni varie, ma chi è dovuto ricorrere al pronto soccorso in codice rosso è stata Susanna Camusso.
La segretaria generale di quello che una volta era il più grande sindacato dell’Occidente, infatti, non ha capito nulla del “piattino” che Renzi stava preparando da qualche giorno e che ha messo in tavola al momento giusto. E’ salita sulle barricate, memore dei suoi trascorsi gruppettari milanesi, e ha immediatamente intonato il mantra dello sciopero generale. Come se ad uno come Renzi la minaccia di sciopero generale potesse mettergli paura.
In realtà era proprio quello che voleva il premier fin dall’inizio: costringere i dinosauri del partito e del sindacato a minacciare la piazza. Rendere visibile urbi et orbi, l’assoluta inadeguatezza di una classe dirigente bolsa ed obsoleta, completamente sganciata dalla realtà lavorativa italiana, fatta di precari, stagisti con rimborso spese, fuori corso universitari distributori di volantini pubblicitari da infilare sotto i tergicristalli delle macchine dei sindacalisti. Così è stato. Passa qualche ora e Bonanni annuncia le sue dimissioni, Angeletti lo segue a ruota. Il parlamentino sindacale riunito in sessione plenaria e unitaria si chiude con un nulla di fatto e col cerino in mano resta la Camusso che nel frattempo aveva già annunciato la data dello sciopero a questo punto della sola Cgil.
Nel Pd, intanto, assorbita la botta, D’Alema tra un “diciamo” e l’altro spiega ai pochi amici giornalisti che gli sono rimasti (in edicola non c’è più neanche l’Unità che un paio di paginate gliele avrebbe messe a disposizione), che in realtà Renzi ha apprezzato il suo intervento e l’analisi che stava a monte, come sempre, era “cartesiana” e che comunque i fatti gli daranno ragione. Bersani, meno sottile, dopo aver riesumato il “metodo Boffo” che non si capisce che cavolo significa, dichiara che a lui sta a cuore la “Ditta” e di conseguenza non farà mancare il suo voto al Senato. Insomma quella che per Renzi doveva essere una via crucis si è rivelata una passeggiata di salute.
Chi aveva capito tutto è stato il filosofo Massimo Cacciari che ospite di Floris in un memorabile Otto e mezzo, andato in onda pochi giorni fa e contrapposto alla renziana Picierno, ha posto la domanda fatidica: “Ma se l’articolo 18 è una sorta di residuato bellico come lo stesso Renzi l’ha più volte definito, perché l’ha riportato al centro dell’attenzione?” La risposta era contenuta nella domanda, ma la telegenica Picierno non ha risposto. Sembrava di giocare a tressette: uno chiama a bastone e quella risponde a coppe.
La parlamentare europea parlava di maternità, di lavoro minorile, si attardava sulla condizione meridionale, ma alla domanda non rispondeva con somma incazzatura del professore veneziano che si rigirava sulla sedia come un tarantolato. Alla fine si è risposto da solo riconoscendo al premier una capacità politica, derivante forse dal suo conterraneo Machiavelli, di gran lunga superiore a quella che il teatro politico italiano in questo momento è in grado di offrire.