Negli ultimi anni, mentre l’attenzione del mondo si concentrava su alcune guerre vere (Isis e Ucraina) e su altre finte (clima), mentre i media discettavano su quale fosse la ricetta più efficace per uscire dalla crisi economica, e quanto la Federal Reserve Usa fosse più efficace della Banca centrale europea, sapete cosa facevano le grandi banche che avevano provocato la crisi con le speculazioni sui derivati? Pensavate forse che stessero riducendo l’ammontare delle loro speculazioni, per risanare i bilanci? In questo caso, vi siete sbagliati di grosso, e noi con voi, perché è accaduto l’esatto contrario. Zitte zitte, le banche too big to fail (troppo grandi per fallire) hanno infatti aumentato ancora di più le speculazioni sui derivati, che ora hanno raggiunto un totale pazzesco, talmente elevato da mettere a repentaglio – questa volta per davvero – l’intera economia mondiale.
Il merito della scoperta è di un giornalista americano, Michael Snyder, che si è letto con attenzione l’ultimo rapporto trimestrale di un ente pubblico di controllo delle banche Usa, l’Office of the Comptroller of the Currency (Occ). Nelle tabelle in fondo al rapporto, l’Occ rivela a quanto ammontano le esposizioni ai derivati delle maggiori banche Usa. Tenetevi forte: ciascuna delle prime cinque banche ha un’esposizione ai derivati superiore a 40 mila miliardi di dollari (cioè 40 trilioni). Per avere un’idea di quanto sia grande il loro azzardo, basta un solo paragone: l’intero debito nazionale del Tesoro degli Stati Uniti è di 17.700 miliardi di dollari (17,7 trilioni), cioè meno della metà dell’esposizione ai derivati di ciascuna banca.
Il primato di questa follia spetta alla JP Morgan Chase, che, a fronte di asset complessivi propri per appena 2,5 trilioni, ha un’esposizione ai derivati di 67 trilioni di dollari. Seguono: Citibank, con un’esposizione di 60 trilioni (1,9 trilioni di asset propri); Goldman Sachs con 54 trilioni di esposizione contro meno di un trilione di asset propri; Bank of America con 54 trilioni di rischi sui derivati contro 2,1 trilioni di asset; Morgan Stanley con oltre 44 trilioni di esposizione a fronte di soli 831 milioni di dollari di asset propri.
A differenza delle azioni e delle obbligazioni, scrive Stanley nel suo blog, «i derivati non rappresentano investimenti in nulla: sono solo scommesse su ciò che accadrà in futuro. Praticamente una forma di gioco d’azzardo legalizzato, e le banche too big to fail hanno trasformato Wall Street nel maggior casinò nella storia del pianeta. Quando questa bolla scoppierà (e scoppierà sicuramente), il dolore che causerà per l’economia globale sarà maggiore di quanto le parole possano descrivere».
Quale sia l’ammontare mondiale dei contratti in derivati, non essendo previsto l’obbligo della loro registrazione, è un mistero. Snyder cita due stime. La prima è del New York Times, che indica in 280 trilioni di dollari i derivati che sarebbero sui libri contabili delle maggiori banche Usa. La seconda è della Banca dei Regolamenti Internazionali, che stima in 710 trilioni di dollari il totale mondiale, «somma che ha dell’incredibile». Su queste scommesse, le grandi banche «hanno prodotto enormi profitti in questi anni», annota Snyder. Ma basta un «evento cigno nero», un imprevisto come una guerra, una pandemia, una catastrofe o il crollo di un grande istituto bancario, perché i modelli su cui si basano le speculazioni sui derivati «si sgretolino in pochissimo tempo». Avvenne così nel 2008 con il crollo della Lehman Brothers, e nessuno può esclude che ciò possa ripetersi.
Dettaglio importante per noi europei: anche la Deutsche Bank è fortemente esposta sui derivati. Anzi, rivela Snyder, ha la maggiore esposizione ai derivati su scala mondiale, pari a 75 trilioni di dollari. Un rischio che definire pazzesco è perfino riduttivo: si tratta infatti di un’esposizione pari a 5 volte il pil europeo e quasi uguale al pil mondiale.
Sono numeri che è bene ricordare per respingere al mittente, una volta per tutte, le sollecitazioni sui «compiti a casa» della signora Angela Merkel. Un gesto che il premier Matteo Renzi dovrebbe fare con meno esitazione del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che soltanto ora scopre che il Fiscal Compact è sbagliato. Le rivelazioni di Snyder confermano che la politica bancaria e monetaria dell’Europa, portata avanti finora con misure d’austerità che hanno provocato recessione e disoccupazione, in realtà ha avuto come obiettivo prioritario quello di salvare la maggiore banca tedesca.
È per questo che l’Italia ha versato 4 punti di pil (60 miliardi presi con maggiori imposte dal governo Monti) al Fondo Salva-banche. Ed è anche per questo che la Bce di Mario Draghi sta regalando alle banche un fiume di miliardi a tasso zero, denaro che di sicuro sta irrorando i caveaux della Deutsche Bank, ma non ha minimamente risvegliato gli investimenti e la ripresa.