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Ecco come e perché le imprese non investono. Report Bnl

Il Fondo Monetario Internazionale ha di nuovo sottolineato la fragilità dello scenario globale. La congiuntura economica offre comunque anche indicazioni di segno favorevole. Tra esse, la ripresa degli investimenti non residenziali negli Stati Uniti; la più intensa dinamica dell’attività di fusione e acquisizione.

Oltre che per la loro importanza intrinseca, l’interesse per questi due fenomeni deriva dal legame che essi hanno con la propensione delle grandi imprese a detenere ampie riserve di liquidità. Per l’intensità raggiunta questa propensione alla liquidità viene indicata tra i fattori corresponsabili (e non in misura marginale) della sterilizzazione degli stimoli monetari adottati dalle autorità dei principali paesi per favorire una più rapida uscita dalla crisi.

Secondo una recente ricerca, infatti, nel 2000 le riserve liquide delle società non finanziarie ammontavano a livello globale a circa $1.200 mld, importo salito nel 2008 al di sopra dei $2.000 mld, con un incremento annuo quindi inferiore al 7%. Negli anni successivi la crescita accelera sensibilmente arrivando a sfiorare in media annua il 12%. In termini assoluti tra fine 2008 e fine 2013 le riserve liquide delle imprese aumentano di circa $1.500 mld, portandosi oltre i $3.500 mld. Alcune circostanze spingono a ritenere che la dimensione globale e forse anche la dinamica del fenomeno siano superiori a quanto appena indicato.

Il fenomeno ha una diffusione globale ma è riconducibile in ampia misura alle imprese statunitensi. Il settore di attività di gran lunga più importante è quello individuato con l’acronimo TMT (Technology, Media & Telecommunication). Il fenomeno si concentra in un ristretto numero di imprese e si accompagna con un indebolimento della propensione ad investire.

Estratto dall’ultimo Focus Bnl

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