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Finmeccanica, che cosa si aspettano i dirigenti da Moretti

Mauro Moretti e Francesco Starace

Riunione ad alto livello ieri nella sede di Federmanager, l’associazione che riunisce e rappresenta dirigenti e manager delle maggiori società industriali del Paese. Il tema all’ordine del giorno era Finmeccanica, la sua ristrutturazione, il suo futuro.

Che cosa pensano i dirigenti di Federmanager della rivoluzione in corso ad opera del nuovo amministratore delegato Mauro Moretti? Lo abbiamo chiesto a Giorgio Ambrogioni, presidente di Federmanager: “Abbiamo esaminato lo stato dell’arte nel gruppo Finmeccanica alla luce delle ancora limitate informazioni che abbiamo dopo che il vertice del gruppo ha incontrato i capi azienda delle società controllate“.

Soddisfatti o preoccupati?

Un sentimento di preoccupazione c’è e la ragione sta proprio nella mancanza di informazioni. Dalla riunione con i nostri rappresentanti, presenti in tutte le realtà del gruppo, è emersa forte e chiara una voglia di partecipazione, l‘auspicio che si avvii, con il vertice di Finmeccanica, un confronto serio, collaborativo. Sollecitiamo un incontro urgente che faccia toccare a Moretti il valore professionale dei dirigenti di Finmeccanica ultimamente fatti oggetto di giudizi ingenerosi e immotivati. I comportamenti non corretti di pochi manager non possono e non debbono riverberarsi indistintamente su tutta la dirigenza.

Presidente, la concertazione è finita nell’era Renzi… Al massimo un‘oretta di chiacchierata con i sindacati, come è successo ieri a proposito di articolo 18 e dintorni…

Un attimo. Non siamo orfani della concertazione così come concepita nel nostro Paese ma chiediamo dialogo e confronto non tanto e non solo per una nostra legittimazione ma perché pensiamo di poter essere utili. Siamo convinti che un processo di riorganizzazione come quello in atto in Finmeccanica ha assolutamente bisogno di collaborazione e coinvolgimento forti da parte di tutta la dirigenza ma oserei dire di tutta la forza lavoro e questo ancor di più trattandosi di aziende estremamente complesse. Vogliamo e possiamo offrire proposte e valutazioni che nascono da colleghe e colleghi che da anni lavorano con passione e competenza all’interno del gruppo e che hanno costituito sempre un punto di riferimento per le tante persone che vi lavorano.

Ma mi sembra che sia già tutto deciso. Il progetto di divisionalizzazione è in corso, dunque è un dato di fatto, ed è stato illustrato ai capi azienda delle controllate…

La fermo. Noi non siamo per nulla contrari al progetto se questo significa razionalizzazione, efficientamento, recupero di risorse.

E allora che cosa lamentate?

Noi non ci lamentiamo, rivendichiamo un ruolo. Vorremmo capire i dettagli di questo processo che impatta su varie aree di business. Spostare un‘area di business da una divisione all‘altra è una decisione da meditare e valutare con chi sta sul “pezzo“. Vorremmo capire il perché, ad esempio, si parla di cessare aree di business solo perché producono, al momento, pochi margini. Finmeccanica opera in settori i cui ritorni vanno considerati con occhio strategico e valutati nel medio lungo periodo. Vorremmo capire quale sarà la politica degli investimenti. Temi complessi, non facili da trattare in un’intervista necessariamente breve.

Presidente, però facciamo un esempio altrimenti la questione non è chiara.

Se si decidesse, ad esempio, di scorporare da Selex un pezzo di attività per portarlo nella futura divisione aeronautica non è affatto detto che quell‘area di business migliorerà il margine di profitto. Le aziende sono un corpo vivo, modificare confini e ambiti non è un‘operazione asettica. Nel passato abbiamo assistito a riorganizzazioni industriali dai risultati assai discutibili: su Finmeccanica non possiamo rischiare. Inoltre ci sono anche altre questioni aperte che ci preoccupano…

Scommetto che si tratta della vendita in fieri di Ansaldo Breda e Ansaldo Sts…

Sì, ma non solo. L’incertezza su Ansaldo Breda ed Sts non solo non ci rassicura ma, lo dico con franchezza, ci preoccupa molto. Ci preoccupa l’ennesima, possibile, perdita di controllo su un settore ad alta potenzialità di sviluppo.  Inoltre vorremmo capire, nel settore spazio, che cosa pensa Moretti della collaborazione con Thales che vede Finmeccanica in posizione secondaria rispetto alla guida francese. Poi ci sono anche altre società, come ad esempio Oto Melara che pur “piccole“ sono leader nel loro settore e che andrebbero certamente sostenute nel loro processo di crescita. Ma potrei continuare. Lo ripeto, vogliamo capire cosa ci attende e cosa attende tutti i lavoratori.

Di sicuro alle domande risponderà presto il gruppo dopo aver delineato il piano industriale insieme con McKinsey.

Ecco, le confesso: sono preoccupato del ruolo debordante di società consulenza estere, che da tempo si sono infilate in quasi tutte le grandi aziende italiane. Non so, comunque ho la sensazione che queste società di consulenza siano portatrici di politiche e logiche diverse dai nostri interessi nazionali. E sovente hanno visioni di breve periodo che contrastano con prospettive di ritorno degli investimenti a lungo termine che sono tipiche dei grandi gruppi. Di privatizzazioni sbagliate si può morire.

Insomma, i manager di un gruppo internazionale come Finmeccanica temono la calata degli stranieri. Un po‘ strano…

No, non sono e non siamo provinciali noi di Federmanager. Quindi capitali cinesi e giapponesi che comprano quote di aziende strategiche per il Paese in prospettiva sono un valore. Io però in tutta franchezza temo un processo strisciante di perdita di sovranità e dunque di perdita o depauperamento del patrimonio industriale del paese.

Le ricordo che il premier Matteo Renzi di recente ha festeggiato a Palazzo Chigi l’ingresso con il 35% dei cinesi del colosso State Grid in Cdp Reti che le quote di controllo di Snam e Terna.

Guardi, la politica sui temi di cui stiamo parlando mi sembra molto, ma molto distratta. Si preferisce parlare di Senato riformato, di superamento delle province, di articolo 18 ed altro. Per carità, temi rilevanti. Ma senza una politica industriale che preservi la strategicità di alcuni settori industriali di eccellenza in mani pubbliche, l’Italia si candida a un lento processo di deindustrializzazione, ad essere una sorta di luna park, fatto di turismo e beni culturali, peraltro neanche tanto conservati e valorizzati al meglio. Noi, invece, ci battiamo affinché l’Italia non si trasformi solo in questo. Senza manifattura, senza industrie, e senza servizi ad alta tecnologia, l’Italia è destinata a perire. Chiediamo, quindi, quella visione di politica industriale che certamente non manca ai Paesi nostri competitori, sia vecchi che nuovi.

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