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Gli ayatollah non stanno a guardare

pasdaran, Khamenei

Gli avvenimenti degli ultimi anni nel Medio Oriente e nel Levante hanno interessato, direttamente e indirettamente, diversi paesi. Tra questi chi sta giocando un ruolo importante è sicuramente l’Iran.

La Repubblica Islamica, non toccata dalla primavera araba del 2010 né dai successivi risvolti, è intervenuta senza mezzi termini negli affari dei paesi interessati, sino a spingersi ben oltre il semplice intervento diplomatico.

Nella guerra civile che da oltre 3 anni devasta la Siria, l’Iran si è schierato in un primo momento al fianco del Presidente Bashar al-Assad. Due i motivi di questa scelta: Assad, leader di un paese a maggioranza sunnita, è di fede alawita, una corrente minoritaria dello sciismo, religione di stato in Iran;  Damasco, naturale ponte tra l’antica Persia e il Libano, rappresenta un alleato importante per Teheran, in quanto  permette ai pasdaran iraniani di rifornire militarmente hezbollah, il partito sciita del Libano, che condivide con l’Iran l’odio per Israele.

L’evolversi della situazione in Medio Oriente e l’avanzata dell’Isis in Siria e in Iraq, quest’ultimo paese a maggioranza sciita, entrato nella sfera d’influenza iraniana subito dopo il ritiro delle truppe Usa, ha spinto l’Iran ad ampliare il proprio raggio d’azione.

Gli ayatollah a dispetto di quanto possano credere diversi paesi, in primis Israele, hanno ben poco in comune con l’Isis. Infatti l’Iran non ha mai avuto un buon rapporto con i movimenti terroristici oltranzisti islamici, nonostante fosse considerato dagli Usa uno dei paesi appartententi al cosiddetto “Asse del Male”( elenco di stati nemici della democrazia e della pace mondiale a detta di Bush junior). A darne la prova è la continua lotta condotta da Teheran contro Al-qaida. Inoltre tornando ancora una volta ai contrasti legati all’interpretazione del Corano, l’Isis punta a fondare uno stato fondamentalista salafita, e quindi sunnita, corrente opposta a quella sciita iraniana.

Come è noto in questi giorni gli Stati Uniti, a capo di una coalizione che vede Giordania, Arabia Saudita, Qatar, Bahrein e Emirati Arabi Uniti accanto a Regno Unito, Francia, Belgio, Danimarca, Polonia, Australia, Nuova Zelanda, hanno dato inizio ai raid aerei nei territori caduti sotto il controllo del califfato e disposto lo stanziamento, nel caso dei paesi arabi, di truppe al confine.

l’Isis dunque è un nemico in comune per l’Iran, l’Arabia Saudita e gli Usa, sebbene per motivi diversi.

La sua ascesa ha reso possibile una nuova fase di confronto politico tra i due paesi del golfo, in quanto il Levante è considerato da Teheran e Ryad il fulcro della competizione geopolitica.

Inoltre la minaccia dello Stato islamico ha spinto Washington e Teheran a trattare anche sul nucleare. E in questi giorni a New York l’allargamento della coalizione anti-Isis e i colloqui sul nucleare si sono fortemente intrecciati nelle stanze del palazzo di vetro.

Anche Cameron si è esposto in questo gioco di corteggiamenti e rifiuti. Il premier britannico, presente a New York, ha incontrato il Presidente iraniano Hassan Rohani e nel suo discorso davanti all’Assemblea generale dell’Onu ha lanciato un appello all’Iran chiedendone l’ intervento al fianco della coalizione per contribuire ad una soluzione in Siria ed Iraq.

Ma la Repubblica islamica, che già da diversi giorni ha confermato il proprio intervento con raid aerei e la presenza delle brigate al quds (corpo di elite dei pasdaran) in Iraq, Siria e Libano, ha rimandato al mittente un secco rifiuto sulla possibilità di una collaborazione attraverso le dichiarazioni della Guida Suprema Khamenei e, successivamente, del Presidente Rohani.

Quest’ultimo nel suo intervento all’Onu ha puntato il dito contro l’Occidente, colpevole di aver adottato una strategia sbagliata in Medio Oriente, a cominciare da Iraq e Afghanistan, e pertanto solo responsabile del terrorismo dilagante. Ha poi continuato a bacchettare con decisione Usa ed alleati per i raid aerei in Siria senza il consenso di Assad, considerati un’ingerenza inappropriata. Qualora poi i jihadisti dell’Isis dovessero avvicinarsi ai confini iraniani, i vertici dell’esercito dichiarano che Teheran sarebbe pronta ad una vera e propria offensiva di terra in Iraq per respingerli.

La situazione è incandescente: la diplomazia iraniana dovrà giocare bene le sue carte, per rafforzare il proprio ruolo geopolitico e scardinare l’asse strategico saudita nella regione, magari scrollandosi di dosso le varie sanzioni economiche e ottenendo risultati importanti anche sul programma nucleare. In che modo? Continuando ad assicurare la sua assoluta natura pacifica.

 

 

 

 


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