Il mix di dati diffusi oggi dall’Istat (vendite al dettaglio di agosto, retribuzioni contrattuali di settembre e fiducia dei consumatori di ottobre) conferma il quadro di persistente debolezza della domanda per consumi.
Le vendite al dettaglio sono calate per il quarto mese consecutivo ad agosto, di -0,1% m/m. La flessione annua si è accentuata a -3,1% da -1,7% precedente. Il calo è più marcato per i prodotti alimentari (-3,7%). Il dato conferma anche il cambiamento delle abitudini di spesa dei consumatori indotto dalla crisi: la diminuzione è diffusa a tutte le forme distributive con la sola eccezione di discount di alimentari (+0,4%) ed esercizi specializzati (+0,6%). La caduta riguarda tutti i principali gruppi di prodotti (il più colpito è il settore cartoleria, libri, giornali e riviste, con un -6,4%).
Anche i segnali prospettici sui consumi non sono certo confortanti: la fiducia dei consumatori è tornata a calare a ottobre, a 101,4 dopo la stabilizzazione a 101,9 vista a settembre. Il dato è circa in linea con la nostra stima e superiore alle attese di consenso. In sostanza, l’indice prosegue nel trend di calo iniziato sei mesi fa dopo il massimo da oltre 4 anni toccato a maggio. Il morale ha raggiunto un minimo dallo scorso febbraio, su livelli inferiori alla media di lungo termine (104,1). La diminuzione riguarda tutte le principali componenti (sia il clima economico generale che quello personale, sia la situazione corrente che le attese per il futuro). Tornano ad aumentare, dopo la stabilità del mese scorso, i timori di perdere il posto di lavoro.
In merito alla condizione economica delle famiglie, gli intervistati notano maggiori opportunità attuali di risparmio, ma si dicono preoccupati per il futuro e meno propensi del mese scorso all’acquisto di beni durevoli. Infine, si fanno meno negativi sia i giudizi che le attese sui prezzi al consumo; non sembrano quindi i timori di deflazione, ma piuttosto quelli relativi al ciclo economico, a pesare sul morale delle famiglie.
D’altra parte, la debolezza della spesa e della fiducia dei consumatori non è sorprendente se si guarda all’evoluzione del potere d’acquisto. Infatti, dopo che nel 2° trimestre il reddito disponibile delle famiglie ha cancellato i (sia pur flebili) segnali di rimbalzo visti nei trimestri precedenti (-1,1% a/a in termini nominali e -1,4% a/a al netto dell’inflazione), anche i segnali riguardanti il periodo più recente non sono incoraggianti. Infatti, almeno per quanto riguarda il reddito da lavoro, non si vede un recupero nel breve termine: il dato comunicato oggi dall’Istat in merito alle retribuzioni contrattuali mostra una stagnazione per il terzo mese consecutivo a settembre; di conseguenza le paghe orarie sono rimaste all’1,1% su base annua: si tratta di un minimo storico.
Quel che è peggio è che in assenza di rinnovi (di cui è in attesa oltre il 61% dei contratti), non è escluso che si possa toccare un nuovo record negativo all’1% nei prossimi mesi. La persistente debolezza del mercato del lavoro (nonché il blocco contrattuale nella PA, che continuerà nel 2015) continua a esercitare pressioni verso il basso sulla dinamica delle retribuzioni, per la quale non si vede un rimbalzo (almeno nell’orizzonte dei prossimi sei mesi). In questa fase, il calo dell’inflazione appare positivo, in quanto è l’unico fattore in grado di sostenere il potere d’acquisto delle
famiglie.