Dopo l’azzeccatissimo articolo del suo direttore, Ferruccio de Bortoli, nel quale si dipingeva Matteo Renzi come un sorta di capitan Fracassa spaccone e inconcludente, oggi il Corriere della Sera raddoppia con un fondo firmato dal suo vice direttore, Daniele Manca. Giornalista esperto soprattutto di economia, si cimenta in una specie di coccodrillo (così si definiscono in gergo mediatico le commemorazioni di celebri defunti) dedicato a Mediobanca. La creatura di Enrico Cuccia, scrive l’editorialista, una volta cabina di regia del capitalismo italiano, sinonimo di salotto buono, crocevia di politica e affari, oggi conta poco o nulla, come il classico due di picche quando la briscola è cuori. E perché, si chiede Manca, questa rapida, rovinosa decadenza? Perché il capitalismo italiano si è sbriciolato, di fatto non esiste più. Ottimo: la risposta è esatta.
Per la verità, il capitalismo italiano non è mai stato un gigante, ma ha sempre camminato appoggiandosi su stampelle finanziarie fornite dallo Stato. La vecchia polemica della sinistra contro Lor Signori (i padroni) che volevano profitti privati e perdite pubbliche era forse carica di slogan un po’ dogmatici, ma era tutt’altro che infondata. Nessuno può dimenticare le varie Iri, Egam, Gepi ecc. cresciute per decenni comprando aziende decotte dismesse dai privati.
La stessa Mediobanca, per dirla tutta, era un tempio del capitalismo un po’ particolare, dove l’incenso era fornito dal pubblico: banca d’affari dell’Iri, aveva una convenzione (rimasta per molto, troppo tempo discretamente segreta) con altri istituti sempre dell’Iri, come Comit, Credit, Banca di Roma, alla cui raccolta di denaro attingeva, a tassi di favore, per finanziare i propri clienti, vale a dire i campioni del capitalismo nazionale, dagli Agnelli in giù. Per via di questi e altri favori sistematicamente ricevuti, Gianni Baget Bozzo, sacerdote, politologo, giornalista, scrittore mancato nel 2009, definì gli industriali italiani “prenditori, piuttosto che imprenditori”. Battuta fortunata, copiata poi da tutti.
L’interessante è che questa verità ormai assodata, venga rispolverata adesso e in maniera così esplicita, dal Corriere della Sera, quotidiano controllato proprio da quello che resta del salotto buono cui è dedicato l’editoriale-de profundis, con in prima fila la stessa Mediobanca. Per rispondere si può aprire (e si farà) il vaso di Pandora dei gossip. Io preferisco non avventurarmi su un terremo così scivoloso. Mi piace pensare invece questo: de Bortoli, liquidato in mala maniera dagli editori con un inconsueto preavviso di nove mesi, vuole fare un buon giornale. E i buoni giornali sono quelli che danno e fanno notizie. E pazienza se disturbano qualcuno in qualche salotto o stanza dei bottoni.