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Ecco luci e ombre del Sudafrica di Mandela. Parla Rino Cammilleri

Il 10 ottobre, alle 21, è prevista a Milano una conferenza dal tema singolare e “politicamente scorretto”: Il “lato oscuro” di Nelson Mandela. Si terrà nella stessa città che, il 18 luglio scorso, ha celebrato, con sindaco Giuliano Pisapia in testa, il premio Nobel e leader dell’ANC dedicandogli nel giorno del suo “compleanno” un gigantesco murale, a ricordo anche dei venti anni dalla caduta del regime dell’apartheid (1994-2014). Con il patrocinio del Comune meneghino, quattro “artisti di strada” hanno infatti verniciato il muro esterno della “Fabbrica del Vapore”, uno spazio-eventi ben noto ai milanesi, con la gigantografia del Madiba, che è stata inaugurata alla vigilia dell’ultimo Mandela Day dal sindaco ed altre personalità, compreso il console generale del Sudafrica, Saul Kgmotso Molobi.

La conferenza di venerdì prossimo, organizzata nella sede di “Luci sull’est”, in via Lentasio 9 (M3 Missori, a 50m dalla Basilica di S. Nazzaro), vedrà il giornalista e scrittore Rino Cammilleri, assieme al presidente dell’Associazione cattolica Tradizione Famiglia Proprietà Julio Loredo, illustrare i principali contenuti del libro Mandela, l’apartheid e il nuovo Sudafrica. Ombre e luci su una storia tutta da scrivere (Prefazione di Rino Cammilleri, D’Ettoris editori, Crotone 2014, pp. 140, € 12,90), l’unico in lingua italiana che evidenzia non poche problematiche e criticità del “nuovo Sudafrica” nato con le prime elezioni libere del 26 aprile 1994.

D. Come mai hai scritto la prefazione e stai promuovendo un libro come “Mandela, l’apartheid e il nuovo Sudafrica“, l’unico finora uscito che pone non poche critiche all’universalmente celebrato leader anti-apartheid?

R. Un adagio riguardante il Messico e riassumente la sua travagliata storia moderna recita: «Povero Messico, così lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti!». Si riferisce alle guerre con cui gli scomodi confinanti gli strapparono tutta la parte settentrionale nell’Ottocento e il loro zampino destabilizzante nelle revoluciones da cui fu afflitto quasi continuamente fino agli anni Trenta del Novecento. L’adagio si potrebbe tranquillamente adattare al Sudafrica, sostituendo la seconda parte del lamento messicano con «…e così pieno d’oro». Il fatto è che il Sudafrica non solo ha una tale disponibilità di giacimenti auriferi (e di diamanti e uranio…) da mantenersi ai vertici della produzione mondiale, ma ha pure una posizione geografica importantissima. Nonostante ciò, si dibatte in una situazione socio-economica anche peggiore del passato, che coinvolge purtroppo le nuove generazioni del Paese, come confermano gli ultimi dati sul disastro del sistema educativo nazionale. Anche L’Osservatore Romano ha rilevato recentemente che centinaia di scuole in Sudafrica sono prive di servizi essenziali come acqua corrente, elettricità e servizi igienici. Tutta colpa del precedente regime dell’apartheid?

D. Perché il Paese di Mandela durante la guerra fredda è finito impelagato nel «grande gioco» che gli Usa e l’Urss hanno disputato in quegli anni sullo scacchiere africano?

R. Inizierei innanzitutto ricordando un aspetto poco noto della “decolonizzazione” africana degli anni Sessanta. Essa, infatti, fu all’origine di non pochi problemi dell’Africa lasciata a se stessa, perché iniziarono a spuntare d’allora numerosi movimenti «di liberazione» marxisti, i cui leader avevano studiato nell’Unione Sovietica, coadiuvati qua e là dalle truppe mercenarie che la Cuba castrista, sempre alla fame, metteva a disposizione di chi la manteneva. Cioè, l’Urss. Tra dittature comuniste e colpi di stato, guerriglie senza fine e contro-golpe, esodi biblici di profughi ed efferatezze e massacri, la «democrazia» africana si venne formando sulle uniche basi possibili, quelle etniche, cosa che permane ancora oggi. Cioè, ogni elettore vota praticamente per i candidati della sua «tribù» e ogni eletto favorisce la sua etnia, cosa che provoca immancabilmente proteste e tentativi di golpe da parte degli esclusi o emarginati. Questo sistema «demo-tribale», di solito tollera e, talvolta approva, satrapie personali con cariche presidenziali a vita e trasmissibili ai figli, arricchimenti inauditi per i capi mentre i popoli permangono nel sottosviluppo più bieco. Anche questo tipo di dinamiche spiega in parte la situazione di crisi che, anche oggi, sta vivendo il Sudafrica guidato da ormai un ventennio dal partito di Mandela, l’ANC.

D. Come mai l’interesse sovietico per il Sudafrica?

R. Intorno alla metà del Novecento, l’Urss, il cui rublo non aveva nemmeno corso internazionale, ebbe un bisogno spasmodico dell’oro sudafricano per i suoi scambi, e della posizione strategica del Paese. L’impero sovietico, nato da una rivoluzione filosofica a essenza prettamente economica (non si chiamava Il capitale l’opus magnum di Marx?), come sappiamo è morto proprio di economia. Doveva mantenere una pletora spaventosa di impiegati pubblici, per definizione improduttivi (l’elefantiaca Armata Rossa, i milioni di addetti ai controlli più minuti e ossessivi, polizie e informatori, funzionari di partito… perfino i ballerini erano «di stato»), finanziare i vari partiti comunisti nel mondo, mantenere una rete di spionaggio a livello planetario, agenti di influenza e disinformazione… E non aveva una moneta spendibile sul piano internazionale. Poteva usare solo l’oro. Così, venne riattivato un classico strumento della filosofia marxista-leninista: far esplodere le contraddizioni. E in Sudafrica ce n’era una bell’e pronta: i bianchi sfruttatori (tesi) e i neri sfruttati (antitesi).

D. Il Sudafrica, prima del 1994, è stato governato per secoli dai discendenti dei boeri olandesi, bianchi e di mentalità occidentale, che hanno sviluppato nel Paese un radicamento torico, come va inquadrata la vicenda della loro difficile “convivenza” con i neri?

R. I discendenti dei boeri olandesi, quando si pose la questione della “decolonizzazione”, vivevano in Sudafrica da due secoli, e non potevano più quindi essere definiti europei. Erano, e si consideravano, degli afrikaner, con lingua, moneta e cultura proprie. I neri ci stavano bene, rispetto al resto del continente, e la cosa era dimostrata da un flusso continuo di immigrati che trovavano lavoro e paghe dignitose. L’«apartheid» non era un problema più di quanto lo fosse quello che, di fatto, imperava nella parte meridionale degli Stati Uniti d’America. Al massimo scandalizzava qualche turista dal cuore tenero, ma i più, in Occidente, non ne sapevano nulla. Ed è presumibile che nemmeno importasse loro.

D. Anche perché il Sudafrica non aveva una Hollywood che denunciasse la «discriminazione razziale»…

R. Vero, ma da parte dell’Internazionale comunista fu fatta partire negli anni Sessanta una campagna “globale”, come si direbbe oggi, tesa a far sapere al pianeta quanto fosse triste la sorte dei blacks sudafricani, costretti a bere in bar separati, a non poter votare, a usare autobus riservati. Gli Stati Uniti, da parte loro, avevano la coscienza sporca al riguardo e stavano cercando di ovviare proprio in quegli anni, basta guardare il film Mississippi burning di Alan Parker, con Gene Hackman e Willem Dafoe. Perciò, la propaganda, toccando loro un nervo scoperto, ebbe facile gioco nel paralizzarne la risposta. Gli europei, reduci delle dittature nazionalsocialista e fascista nonché culturalmente ormai colonizzati dai liberals americani, dal canto loro erano sensibilissimi al principio «un uomo, un voto», perciò si indignarono all’idea che in Sudafrica i neri non potessero votare. Perché, si sa, quando uno può votare alle elezioni i problemi per lui finiscono e si può guardare tranquillamente altrove. Da qui, boicottaggi per il Sudafrica, perfino alle Olimpiadi, e campagne di odio per il suo governo bianco e razzista. I sudafricani facevano la parte dei cattivi anche al cinema, come si vede, per esempio, in Arma letale 2 di Richard Donner.

D. Nel libro che presenterai, Mandela, l’apartheid e il nuovo Sudafrica. Ombre e luci su una storia tutta da scrivere, si evidenzia come i neri sudafricani, al loro interno, hanno sempre avuto qualche problema ad andare d’accordo…

R. Fra le varie tribù nere del Sudafrica, in effetti, non scorre buon sangue ed, anzi, le due etnie principali, Zulu e Xhosa, non si amavano e non si amano neanche oggi affatto. Ho l’età per ricordare benissimo i necklaces, le «collane» con cui gli esponenti delle rispettive fazioni politiche regolavano i conti tra loro: alla vittima, legata, veniva messo al collo un copertone d’auto a cui si dava fuoco. Anche queste foto facevano il giro del mondo, ma ormai il martoriato Paese procedeva sulla strada che gli era stata artificialmente tracciata. Come diceva l’Antonio shakespeariano dopo avere lanciato i romani contro gli assassini di Cesare, «danno, tu sei scatenato, prendi il corso che vuoi». Fu così che il più prospero dei Paesi africani entrò in un tunnel di lotte e destabilizzazione da cui, solo parzialmente, sta uscendo in tempi recenti.

CHI E’ RINO CAMMILLERI

Nato a Cianciana, in provincia di Agrigento, il 2/11/1950, Rino Cammilleri si è laureato in Scienze Politiche in un’unversità “calda” negli anni Settanta come Pisa. Ha esordito come assistente di Diritto Diplomatico e Consolare nella stessa facoltà per poi dirottarsi sull’insegnamento di materie giuridiche ed economiche nelle scuole secondarie. Da tempo fa esclusivamente lo scrittore, l’editorialista e il conferenziere. Ha scritto su varie testate nazionali. Attualmente collabora con La Nuova Bussola Quotidiana e la rivista «Studi Cattolici». Sul quotidiano «Il Giornale» e il mensile «Il Timone» cura regolarmente rubriche sulla storia della Chiesa e della spiritualità cattolica. Autore di parecchie introduzioni e prefazioni, ha curato per l’editore Piemme la collana «Le cattedrali del tempo» ed, uno dei suoi saggi di maggior successo è Il quadrato magico. Un enigma che dura da duemila anni, pubblicato nel 1999 per Rizzoli con prefazione di Vittorio Messori e continuamente ristampato (l’ultima edizione è dello scorso anno).

Cammilleri è anche romanziere e, negli ultimi anni, si è imbattuto soprattutto in gialli storici (vedi la sezione sui libri). Molti dei suoi libri sono stati tradotti all’estero, perfino in polacco, greco e romeno. L’ultimo campi della sua attività è il fumetto e, per le Edizioni ReNoir di Milano, ha recentemente ideato una serie western intitolata «Gli Sconfitti».

copertina del libro 'Nelson Mandela. L'apartheid e il nuovo Sudafrica' (D'Ettoris editori)



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