L’Italia è in prima linea per rilanciare i rapporti con i Paesi dell’Africa subsahariana. Nel 2013 ha dato vita all’Iniziativa Italia-Africa per approfondire relazioni politiche e cooperazioni strategiche tra attori delle due regioni.
A spiegarne il perché in una conversazione con Formiche.net è Luigi Marras, Direttore Generale per gli Affari Globali del Maeci, secondo il quale “il continente africano ha bisogno di una crescita forte, duratura e sostenibile, per offrire opportunità di crescita ad una popolazione in aumento e contrastare rischiose forme di degrado economico, sociale e di sicurezza capaci di avere riflessi negativi anche in Europa“.
Direttore Marras, in termini di diplomazia preventiva, cosa sta facendo l’Italia a livello europeo per una concreta azione sulle questioni globali?
Proprio con questa espressione “diplomazia preventiva” la Ministro Mogherini, insieme ai suoi colleghi di Germania e Olanda, ha sollecitato le istanze europee in favore di una strategia su alcune tematiche globali – i cambiamenti climatici, le acque, l’energia e i flussi migratori – che assicuri un migliore raccordo degli strumenti a disposizione a Bruxelles e nei vari Paesi dell’Unione. Da parte italiana stiamo sostenendo che queste sfide oltre ad essere affrontate a livello globale, trasversale, vadano riferite in modo specifico anche a quelle aree contigue all’Europa, cioè quelle africane, dalle quali provengono per noi le maggiori insidie. E’ nostro interesse, nostro e dell’Europa, nell’affrontare la tragica emergenza dell’immigrazione illegale, guardare nello stesso tempo più a sud e più lontano nel tempo per rimuovere le cause profonde di questo fenomeno, lavorando per la stabilità delle aree di crisi in Africa subsahariana.
Qual è l’approccio italiano alle relazioni con l’Africa?
In campo energetico, bisogna abituarsi a guardare all’Africa non più soltanto come fonte per i nostri approvvigionamenti ma come protagonista del proprio futuro che deve compiere scelte strategiche e dotarsi di una politica energetica per fornire elettricità ai 600 milioni di africani che ne sono attualmente privi. Più in generale, negli anni ’80 parlavamo delle “tigri” asiatiche. Prima o poi compariranno all’orizzonte i “leoni” africani. Sottovalutare questa dinamica costituirebbe un grave errore da parte nostra.
Quali sono gli obiettivi dell’Iniziativa Italia-Africa? Ci sono opportunità economiche per le aziende italiane?
L’Iniziativa Italia-Africa è stata messa a punto per riaccendere i nostri riflettori sull’Africa subsahariana in particolare. È un’area dove abbiamo perso negli ultimi decenni diverse posizioni, come lamentano gli stessi amici africani che auspicano una maggiore collaborazione con noi. L’Iniziativa si rivolge a tutte le componenti italiane interessate all’Africa. In campo energetico grandi imprese italiane come l’Eni e l’Enel occupano in Africa da tempo posizioni di primo piano in continua espansione. La crescita esponenziale di domanda di elettricità cui va incontro l’Africa subsahariana offre però opportunità importanti per tutte le nostre imprese del settore, anche quelle di minori dimensioni che vantano una expertise di eccellenza in temini di rinnovabili, di efficienza energetica, di sistemi di trasmissione e di regolamentazione. L’importante è l’ottica nella quale ci si pone: possiamo condividere le nostre esperienze e i dati a nostra disposizione, suggerire proposte e scenari come fa l’ottimo Africa Energy Outlook dell’Agenzia Internazionale per l’Energia che è stato recentemente presentato alla Farnesina, suscitando l’apprezzamento dei numerosi e autorevoli partecipanti africani, senza pretendere di essere depositari di modelli migliori di altri.
Anche considerando la recente riforma, qual è il ruolo della cooperazione italiana allo sviluppo nell’Iniziativa Italia-Africa?
L’Iniziativa è stata definita insieme alla nostra Cooperazione allo Sviluppo. La recente legge di riforma della Cooperazione è stata concepita proprio per andare incontro alla giuste aspettative dei nostri imprenditori. D’altra parte la realtà africana odierna non è più quella di un tempo. Sette delle economie al mondo che cresceranno di più nei prossimi anni appartengono all’area subsahariana. Comprensibilmente quindi il numero dei Paesi destinatari dei nostri aiuti è diminuito.
Le aziende italiane che si occupano di rinnovabili possono quindi vedere nell’Africa un buon terreno di sviluppo?
Le rinnovabili sono un punto di forza nel nostro paese. Oltre il 25 per cento del nostro fabbisogno è alimentato con fonti rinnovabili. L’Africa dispone non solo di gas e olio ma anche di ingenti fonti rinnovabili, dall’idroelettrico alla geotermia, dal solare all’eolico e alle biomasse. Sono tutti settori in cui le nostre aziende sono estremamente concorrenziali. Il mercato italiano è saturo, mentre quello subsahariano si sta aprendo in questi anni ed è destinato a crescere in modo esponenziale.
Come devono muoversi PMI italiane che si affacciano a questi mercati?
Sarebbe importante che le aziende seguissero formule di aggregazione della filiera, mettendo a sistema le competenze che le singole aziende hanno. Da diversi anni è attivo un Progetto di aggregazione e supporto delle PMI italiane del settore cleantech, avviato nel 2010 dal GSE su indirizzo del Ministero dello Sviluppo Economico e in stretta collaborazione con partner istituzionali: il Progetto Corrente.
Nelle attività di avvicinamento delle PMI italiane al mercato africano è molto importante anche il ruolo delle ONG poiché, grazie alla loro presenza capillare sui territori, conoscono la realtà, i mercati e le istituzioni di quei Paesi.
Pensando ai Paesi africani non si può far a meno di considerare gli ostacoli politici e normativi di alcuni Paesi. Cosa ne pensa?
Esistono certamente ostacoli anche seri, ma sono gli stessi per tutte le imprese straniere che intendono investire in Africa. Non ci debbono quindi spaventare oltremodo perché rischieremmo altrimenti di perdere opportunità che verrebbero colte da altri. Credo che da parte africana vi sia consapevolezza dell’importanza delle rinnovabili: il successo della Conferenza ospitata a Roma Italy-Africa, working together for a sustainable energy future con una numerosa presenza di Ministri dell’ energia africani lo dimostra. Ci vuole trasparenza nelle procedure, tutela degli investimenti, la creazione di apparati regolatori efficienti, una collaborazione transfrontaliera. Sono cose che richiederanno tempo e che alcuni Paesi sapranno introdurre meglio e prima di altri.
Quali sono i Paesi africani il cui ambiente politico, giuridico e sociale facilita l’attività di investimento?
Paesi come il Kenya, il Sud Africa, l’Uganda, l’Etiopia, la Tanzania sono alcuni esempi di Paesi attenti a questi temi e interessati a realizzare progetti.
Ci da alcuni esempi di iniziative politiche e commerciali nei Paesi africani volte al potenziamento e allo sviluppo del settore energetico delle rinnovabili?
Per tutta la dorsale orientale africana, dal Kenya al Sud Africa, esiste il progetto del “Africa clean energy corridor” che sta sviluppando IRENA, l’Agenzia Internazionale delle Energie Rinnovabili di cui l’Italia è socio fondatore e membro attivo.
L’Unione Africana ha varato negli ultimi anni il Programme for Infrastructure Development in Africa (PIDA) che vede nelle rinnovabili e nell’elettrificazione volani di sviluppo sostenibile.
In Etiopia è stato avviato il programma Climate-Resilient Green Economy.
Il Ghana si è dotato di una legge sull’energia rinnovabile con la quale istituisce un fondo per la promozione, lo sviluppo, la gestione e l’utilizzo delle rinnovabili a livello nazionale. A settembre ha anche introdotto un meccanismo di tariffe incentivanti per le rinnovabili e il fotovoltaico (feed-in tariff).
Tra le fiere di settore vorrei ricordare la Powering Africa: Ethiopia, la Power & Electricity World Africa, la West African Power Industry Convention e l’Annual Powering Africa Finance Options. Da non trascurare anche quei contesti fieristici organizzati dalle banche regionali di sviluppo come l’African Development Bank.