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La felicità non entra in una formula

“Avvenire”, 26 settembre 2014

Ferruccio Pezzani, nel suo articolo su “Avvenire” di martedì 23 settembre, affronta un tema tanto complesso quanto affascinante e sul quale, nel corso dei secoli, si sono interrogati filosofi ed economisti. L’economia è una scienza? E, se si, che tipo di scienza sarà mai? Pezzani si interroga sul problema, a partire da una riflessione circa l’opportunità che il Premio Nobel sia assegnato anche a studiosi che si occupano di scienza economica. Bisogna riconoscere, afferma Pezzani, che Alfred Nobel aveva previsto premi per scienze misurabili e premi improntati alla spiritualità dei sentimenti, come appunto la letteratura e la pace. Ebbene, per il Nostro, l’Economia si collocherebbe in un campo intermedio.

L’istituzione del premio Nobel per l’economia avrebbe contribuito alla trasformazione genetica della scienza economica che, da “scienza strumentale”, sarebbe diventata “scienza finalistica”, accampando la pretesa di definire un concetto di “benessere sociale” diverso e distante rispetto a quello che intendeva promuovere A. Nobel con l’omonimo premio.

Nel 1949 sul «Journal of Political Economy» il premio Nobel Milton Friedman pubblica un saggio dal titolo The Marshallian Demand Curve, dove afferma che la teoria economica avrebbe due compiti tra loro interconnessi. Da un lato, fornire “metodi di ragionamento sistematici ed organizzati” su problemi economici e, dall’altro, fornire un corpo di ipotesi concrete, che si basino su alcune evidenze fattuali. In entrambi i casi, la prova della teoria consiste nella sua capacità di spiegare i fatti, ossia, di prevedere le conseguenze di certi cambiamenti nel campo dell’economia.

Nel 1952 Friedman pubblica un secondo importante scritto epistemologico: The Methodology of Positive Economics. In questo lavoro egli assume la distinzione, operata anni prima da John N. Keynes (padre di John M. Keynes), tra scienza positiva e scienza normativa o regolativa. Con la prima intendiamo un corpo di conoscenza sistematizzata che concerne ciò che è; con la seconda, invece, un corpo attraverso il quale si discutono i criteri di ciò che dovrebbe essere; in pratica, un’arte.

Sfortunatamente, in molti confondono la dimensione positiva con quella normativa e rincorrono nozioni quali la “felicità”, da addomesticare con quattro formule matematiche. L’economia positiva – da non confondere con la “politica economica” – è per principio “indipendente” da ogni particolare prospettiva etica e da qualsiasi giudizio normativo: essa ha a che fare con “ciò che è” e non con “ciò che dovrebbe essere”. Il compito della scienza economica positiva è di fornire un sistema di ipotesi che possa essere usato per fare predizioni corrette sulle conseguenze di eventuali cambiamenti delle circostanze. Ciò significa che il successo stesso della teoria economica dipende dalla precisione, dalla portata e dalla conformità delle predizioni, rispetto alle conseguenze che si danno. In breve, e così rispondiamo alla domanda iniziale, l’economia può essere una scienza “oggettiva” così come lo è qualsiasi altra scienza fisica.

Purtroppo, non possiamo non registrare come le centrali accademiche nelle quali si elabora la scienza economica, magari dietro la retorica di un bene comune meccanicistico e di un’idea di felicità standardizzata, tendono a formare aspiranti e risibili apprendisti stregoni che pretendono di modellare e di indirizzare il mondo, usando le teorie economiche come se fossero leve di comando di un carro amato e non semplici schemi euristici mediante i quali descrivere i fenomeni.

Dunque, e così rispondiamo anche alla seconda domanda, la scienza economica, al pari di qualsiasi altra scienza, si identifica con un sistema teorico, sempre criticabile e in perenne assedio sotto il fuoco dei tentativi di falsificazione; nonché, utilizzabile per fare del bene ovvero del male. La scienza economica, in quanto sistema teorico, per definizione, ha un profilo descrittivo, ci offre una grammatica e una sintassi per rispondere alla domanda sul come e sul perché di un fenomeno; non ha, ovvero non dovrebbe avanzare, alcuna pretesa normativa, tanto meno proporre un’dea di felicità e di benessere sociale. In breve, dovrebbe aiutarci a descrivere e a spiegare i processi con i quali la realtà economica si manifesta e non, risibilmente e tragicamente, a prescriverla, a plasmarla, come se fosse un ideale verso cui tendere e non, più modestamente, uno strumento che la misura.


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