L’ultima settimana ha inaugurato una nuova fase del conflitto in Libia, sempre più preoccupante per l’Italia. Domenica c’è stata una visita a sorpresa a Tripoli del Segretario Generale dell’Onu Ban Ki Moon, del suo inviato speciale Bernardino Leon e, tra gli altri, del nostro Ministro degli esteri Federica Mogherini. Tutti hanno chiamato le parti a prendere parte al dialogo e a rispettare il cessate il fuoco. I combattimenti però sono proseguiti sia attorno alla capitale (che per il momento rimane relativamente tranquilla) sia nella maggiore città della Cirenaica, Benghazi.
La seconda città della Libia ieri è stata l’oggetto di una battaglia feroce tra gli elementi più radicali degli islamisti (come Ansar al Sharia, l’organizzazione accusata di aver ucciso l’ambasciatore americano nel 2012) e le forze della coalizione “Dignità” al comando del generale in pensione Khalifa Haftar.
Ieri pomeriggio l’agenzia Associated Press ha anche battuto la notizia di un coinvolgimento egiziano nelle operazioni, sulla base di interviste anonime con funzionari del regime di As-Sisi e citando anche la conferma di un parlamentare libico vicino ad Heftar. Pronta è arrivata la smentita del Cairo che deve anche tutelare le centinaia di migliaia di lavoratori egiziani che lavorano nelle zone controllate proprio dalle forze che ieri sono state colpite. E’ probabile che si trattasse o di aerei forniti dall’Egitto ma guidati da piloti libici oppure che ci fosse comunque un sostegno da parte dell’intelligence egiziana.
“Il crinale tra la tregua (non la pace, quella è difficile) e la guerra in Libia saranno le prossime due settimane” avvertiva ad inizio mese un diplomatico europeo in Nord Africa. L’Onu ha riunito nella città di confine di Ghadames sia i parlamentari fedeli al primo ministro al Thinni e al suo governo di Tobruk che quelli “ribelli” che si rifiutano di partecipare alle sedute, tra i quali molti sostenitori del governo del rivale al Hasi, insediatosi a Tripoli. L’obiettivo è spostare il parlamento da Tobruk, zona controllata dagli anti-islamisti, ad un luogo più neutro. Il secondo obiettivo sarebbe l’approvazione di regole di procedura più “consensuali” per evitare che le diverse fazioni usino la Camera dei Rappresentanti per regolare i conti tra di loro. Era un inizio ed un inizio difficile.
Il problema è che nel frattempo, le diverse fazioni libiche hanno ricevuto segnali discordanti da parte dell’occidente e delle potenze arabe. Accanto al richiamo al dialogo politico e al cessate il fuoco, c’è stata l’enfasi da parte di alcuni sulla necessità di combattere “il terrorismo” e di sostenere il governo al Thinni in questa lotta. In questo senso si era mossa una riunione all’Onu a fine settembre in cui il comunicato ufficiale al punto 8 diceva: “I partecipanti all’incontro riconoscono il ruolo guida del governo della Libia [Tobruk, riconosciuto dall’Onu] nel confrontare la crescente minaccia dei gruppi terroristici e si dichiarano pronti a sostenere il governo in questo sforzo.” E interessante notare come alla riunione dell’Onu ci fossero anche i rappresentanti italiani e non risulta che abbiano dissentito. Eppure ne avrebbero avuto qualche ragione.
Per il governo di Tobruk, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale, la definizione di “terrorismo” è abbastanza ampia da includere tutti quelli che lo combattono sul terreno. Insieme alla riunione Onu, il governo al Thinni ha ricevuto altri segnali sostanziali in favore della sua particolare “guerra al terrorismo”. Più di una visita ufficiale in Egitto si è svolta da allora, l’ultima della quale il 9 ottobre ha visto la firma di un accordo tra il Ministro degli interni libico Omar Al-Sanky e la sua controparte egiziana Mohamed Ibrahim. In base all’accordo, l’Egitto si impegna ad addestrare le forze di sicurezza libiche nella lotta al terrorismo. Tra la firma al Cairo e l’offensiva di ieri sono passati pochi giorni, nei quali il Ministro degli esteri del governo di Tobruk non ha mancato di fare visita al suo collega francese Fabius, sempre più chiaro nel sostenere la guerra al terrorismo in Libia, per quanto con obiettivi diversi da quelli del governo ufficiale di Tobruk.
Nel frattempo, il Consiglio Supremo di Difesa italiano riunitosi ieri ha mostrato tutta la sua preoccupazione per la situazione, invitando ad “ogni possibile sforzo per prevenire, in particolare, l’ulteriore destabilizzazione della Libia”. E la situazione nel Paese nordafricano sarebbe stata discussa anche nella teleconferenza con Obama, Renzi e altri leader occidentali che si è tenuta ieri sulla minaccia dello Stato Islamico. Cosa si sia detto, e cosa abbia detto il nostro Presidente del Consiglio, non è dato sapere. Secondo il quotidiano arabo (ma di proprietà qatariota e quindi da prendere con le pinze) Al Quds Al Arabi, ci sarebbero state importanti discussioni sulla Libia anche ad un recente vertice tra i Paesi Nato e alcuni partner mediorientali. Soprattutto l’Egitto e gli Emirati avrebbero chiesto ai partner europei di non focalizzarsi su Siria e Iraq come chiesto dagli USA ma di guardare alla Libia. “Sembra che alcune figure europee abbiano raccolto questo invito” scrive il quotidiano, e che questi leader europei sentano i richiami del Presidente egiziano Abdul Fattah As-Sisi di concentrarsi “sul crescente estremismo in Sinai ed in Libia”.
Chissà se tra questi leader europei sensibili al programma di As-Sisi ci sono anche i rappresentanti del nostro governo. Difficile, se si guarda alle dichiarazioni della Mogherini o del viceministro Pistelli. E tuttavia l’assenza dalla scena pubblica di Renzi è interessante.
La sveglia per il nostro Primo Ministro sta suonando da un po’. Se l’obiettivo è evitare l’escalation in Libia sotto le insegne della “guerra al terrorismo”, Renzi può far leva sulla Presidenza italiana del Consiglio UE per chiarire alle parti che per noi il cessate il fuoco e la formazione di un governo veramente in grado di governare la Libia sono le precondizioni per combattere il terrorismo. Si può chiarire anche ai nostri partner regionali, in primis l’Egitto, che non ci faremo trascinare nella guerra civile libica per combattere al fianco del governo di Tobruk contro il governo di Tripoli. Oppure si può continuare così, senza “cambiare verso”.