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Mps, Carige e banche stressate. Ecco i report meno stressanti

Man mano che il giorno dopo gli stress test si avvia a conclusione, anche le analisi dei broker superano il primo impatto da dato pure e vanno più a fondo. Cosa dicono realmente Aqr e stress test e cosa invece nascondono? Ecco una ricognizione aggiornata, oltre ai primi report di cui Formiche.net ha parlato ieri come quelli di Pimco, Mediobanca Securities ed Equita.

L’APPARENZA INGANNA?
“I media si sono interessati solo su chi ha superato e chi ha fallito l’esame – avverte Justin Bisseker, analista banche europee di Schroders – Invece, cosa è successo in realtà? Innanzitutto, la Bce ha condotto un’analisi in profondità dei bilanci bancari in vista del ruolo di supervisore che assumerà il prossimo mese: sono stati analizzati oltre 119.000 documenti di creditori e 170.000 valutazioni di collaterali. I risultati sono i seguenti: gli Aqr hanno identificato 136 miliardi di euro di non performing loan incrementali che richiedono aggiustamenti per 34 miliardi ai bilanci al 31 dicembre 2013. Combinando questo dato con lo scenario avverso (quello in cui le banche devono comunque garantire un Core tier 1 del 5% e non più dell’8%, ndr) l’impatto del capitale è di 263 miliardi, pari al 27% del capitale detenute dalle 130 banche e corrispondente a una mediana di 400 punti base al copre Tier 1 fully phased. Numeri grossi, ma il fabbisogno che ne risulta rispetto alla richiesta di core Tier 1 al 5,5% è di 15 miliardi, ovvero il 2,5% della base di capitale delle banche dell’Eurozona, 9,5 miliardi se si tiene conto del capitale già raccolto nel corso del 2014”.

ACCANTONAMENTI E CT1 FULLY LOADED CAMBIANO LA SCENA
Secondo l’analista di Schroders l’attenzione dei mercati e dei media dovrà presto spostarsi dalle bocciate eccellenti a qualcosa di diverso. E più sostanziale. “Innanzitutto – spiega ancora Bisseker – un bel numero di banche sono a corto del livello di accantonamenti che la Bce considera prudente e che le banche considerano invece gestibile”. Gli investitori dovrebbero prendere nota di questa discrepanza perché se le banche “non fanno i dovuti accantonamenti, è possibile che la Bce li conteggi in cuscinetti prudenziali. Inoltre, gli stress test sono stati condotti con i core Tier 1 non fully loaded, cioè non epurati da oggetti come le partecipazioni in altre banche, carenze di accantonamenti basati su rating interne e tasse. Che è ciò che decide il reale rischio dei bilanci e la capacità di pagare i dividendi dopo al 2019. Su queste basi, nove delle 15 banche italiane non avrebbero rispettato la soglia del 5,5%”.

LA SFIDA DEL FUTURO
“Probabilmente – spiega Paras Anand, responsabile azionario Europa di Fidelity Worldwide Investment – l’aspetto più significativo emerso dalla recente analisi del sistema bancario europeo è l’aver riscontrato una carenza di capitale in un numero ridotto di banche Europee. In uno scenario economico avverso è indubbiamente una posizione decisamente migliore di quanto si sarebbe pensato appena due anni fa. Da allora la situazione è profondamente cambiata, con il crollo dei costi di finanziamento, il miglioramento dei margini di interesse netti e, in alcune economie, segnali che gli accantonamenti per i crediti problematici potrebbero rivelarsi eccessivamente prudenti. Dopo svariati trimestri di riduzione dell’indebitamento delle banche, il sistema è oggi meno strettamente correlato di quanto non lo fosse prima della crisi e certamente le probabilità di contagio transnazionale si sono ridotte in quanto le Banche centrali nazionali hanno utilizzato la liquidità immessa dalla Bce per rafforzare i rispettivi sistemi bancari”.
Ma non è tutto oro ciò che luccica: ora il settore bancario ha davanti una sfida davvero importante. “Il futuro delle banche – conclude Anand – è profondamente legata a quello dei mercati sviluppati: finché la fascia di clienti a cui le banche sono disposte a concedere credito non crescerà significativamente, difficilmente il sistema finanziario potrà sostenere la ripresa economica come è invece accaduto in passato. La maggiore credibilità in termini di adeguatezza di capitale è evidentemente un passo positivo, così come la definizione di un quadro normativo omogeneo”. Un passo necessario, ma non sufficiente.

LE PRIME REAZIONI DEI BROKER
Stamattina, l’ottimismo sembrava imperante come abbiamo riportato qui. Da Philippe Bodereau, responsabile della ricerca finanziaria globale di Pimco che scriveva che i risultati degli stress test “sono positivi per il sentiment di mercato con appena 12 banche identificate tra quelle che necessitano di nuovo capitale. Il numero di 25 dei titoli non è rilevante perché esclude le migliorie di capitale già completate nel 2014. Tutte le banche core dell’Eurozona hanno superato il test con largo margine e non ci sono grossi problemi nelle grandi banche sistemiche”. Ad Antonio Guglielmi, capo analista di Mediobanca Securities che definiva i risultati “in linea con le aspettative”, tanto da tenere il giudizio outperform sul comparto: “vediamo un potenziale per l’espansione dei multipli che deriva dalla probabile ondata di fusioni e acquisizioni, la dismissione di asset e la vendita dei non performing loan, cioè i crediti incagliati e inesigibili”. E Guglielmi rilevava una disparità di trattamento all’interno dei periferici: “zero fabbisogno per la Spagna, concessione ai bilanci delle greche. Mentre in Italia le valutazioni sono state maggiormente penalizzanti. Con tre miliardi di carenza di capitale, Mps e Carige sono capri espiatori”. Su Mps Equita vede “un aumento di capitale da 1,5 miliardi”, mentre Carige, che “ha già deliberato un aumento di capitale e altre dismissioni, Carige è evidentemente destinata ad un’aggregazione”.


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