Il meccanismo di vigilanza unico rappresenta un modello di integrazione operativa e organizzativa tra apparati nazionali ed europei che va molto al di là di quanto sin qui realizzato con le reti europee di regolatori nazionali istituite coordinate a livello
europeo da agenzie istituite ormai in molti settori della regolazione d’impresa. Il modello della rete, che fa capo a un’agenzia europea e prevede una serie di relazioni verticali e orizzontali, non comporta un indebolimento dalle amministrazioni nazionali in quanto, più che di una sostituzione delle autorità comunitarie a quelle nazionali, si tratta di una
parziale fusione tra i due livelli di competenza.
Fino a oggi la punta più avanzata era costituita probabilmente dalla cooperazione tra autorità garanti della concorrenza degli Stati membri e Commissione europea disciplinata dal Regolamento (CE) n. 1/2003 e finalizzata alla miglior applicazione della disciplina della concorrenza posta dal Trattati sul Funzionamento dell’Unione europea (artt. 101 e 102).
Il Regolamento stabilisce che la Commissione e le autorità di concorrenza nazionali applicano le regole di concorrenza comunitarie «in stretta collaborazione» (art. 11) e prevede obblighi di informazione preventiva reciproci (art. 11), possibilità di consultazione, scambi di informazioni (art. 12), ecc. Le autorità di concorrenza nazionali non possono assumere decisioni su casi già oggetto di una decisione della Commissione in contrasto con quest’ultima (art. 16).
È sancita anche una sorta di primazia a favore della Commissione europea nel caso in cui essa decida di avviare un procedimento di accertamento di infrazioni nei confronti delle imprese. Le autorità garanti nazionali sono infatti private della competenza ad applicare le regole del Trattato anche se hanno già aperto un procedimento (art. 11, § 6). Le autorità
garanti nazionali sono tenute a prestare assistenza attiva alla Commissione nel caso in cui essa debba effettuare accertamenti presso le imprese ricorrendo se del caso alla forza pubblica o richiedendo all’autorità giudiziaria nazionale le necessarie autorizzazioni (art. 20). Esse sono inoltre tenute a procedere ad accertamenti e a porre in essere altre misure di
acquisizione di fatti previste dalla legislazione nazionale in nome e per conto di autorità garanti di altri Stati membri o su richiesta della Commissione (art. 22).
Tuttavia, il sistema previsto dal Regolamento (CE) n. 1/2003, come precisato dalla Commissione europea, dà origine a una «rete» di autorità di concorrenza (Network of Competition Authorities), caratterizzata sia da relazioni verticali con la Commissione, sia da relazioni orizzontali tra autorità nazionali, più che appunto un «meccanismo» unitario. L’impstazione complessiva è quella di un’applicazione decentrata del diritto europeo in materia di concorrenza, salvaguardando però per quanto possibile l’unitarietà del sistema.
Al di là della denominazione, può essere invece qualificato come un meccanismo unitario il Sistema Europeo delle Banche Centrali istituito, come si è detto, per la politica monetaria dell’Unione ai sensi dell’art. 127 ss. del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea e del Protocollo allegato al Trattato. Infatti, le banche centrali nazionali, per un verso,
«costituiscono parte integrante del Sistema Europeo delle Banche Centrali», e dunque il sistema è concepito come un’entità unitaria, sia pur senza personalità giuridica; per altro verso «agiscono secondo gli indirizzi e le istruzioni della Banca Centrale Europea» (art. 14, § 3, del Protocollo).
Ma la differenza rispetto al meccanismo di vigilanza unico è che, mentre le funzioni monetarie, che pur richiedono l’esercizio di poteri pubblicistici (fissazione del tasso di interesse) e di attività materiali (operazioni di mercato), non comportano la necessità di una presenza capillare negli Stati membri con strutture paragonabili, sotto il profilo quantitativo, a quelle necessarie per l’attività collegata alla vigilanza sulle oltre seimila banche europee. Per essere efficace, l’attività di vigilanza deve essere esercitata sul territorio, a contatto diretto con i singoli enti creditizi, che non a livello centralizzato.
Il meccanismo di vigilanza unico, che è qualcosa di qualitativamente diverso di un semplice meccanismo di coordinamento, si prefigge gli obiettivi di istituire un quadro efficiente ed efficace per l’esercizio della vigilanza e di garantire l’applicazione uniforme di un corpus unico di norme.
A questo fine, attesa l’impossibilità di perseguirli in misura sufficiente dai singoli Stati membri, in base al principio di sussidiarietà sancito dall’art. 5 del Trattato sull’Unione europea citato espressamente nel Regolamento, si giustifica, secondo criteri di proporzionalità, l’attribuzione di poteri estesi alla Banca centrale europea. Ciò è richiesto dalla struttura paneuropea del mercato bancario e dall’impatto dei fallimenti
degli enti creditizi sugli altri Stati membri (considerando n. 87).
L’eccezionalità dei casi della moneta unica e della vigilanza bancaria giustifica la previsione che il principio di sussidiarietà non consentirà nei tempi prevedibili un analogo accentramento di funzioni in altri settori dell’attività economica, pur affetti da fallimenti del mercato che richiedono la presenza di regolatori nazionali coordinati a livello europeo.
Un ultimo aspetto da sottolineare è che dallo stesso Regolamento traspare la consapevolezza che alcune soluzioni adottate sono insoddisfacenti e sono dovute a vincoli derivanti dal contesto istituzionale. Il Regolamento contiene infatti un accenno indiretto all’opportunità di una modifica all’art. 127, § 6, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea per eliminare alcune restrizioni giuridiche che esso impone e per rafforzare la responsabilità democratica della Banca centrale europea nella veste di autorità di vigilanza sugli enti creditizi. Anche il meccanismo di vigilanza unico è visto dunque come uno strumento transito-rio ancora perfettibile.
In realtà, in occasione di una futura revisione dei Trattati, più che qualche ritocco al Regolamento, l’architettura complessiva della regolazione e della vigilanza finanziaria dovrebbe essere rivalutata anche perché, come già osservato, il meccanismo di vigilanza unico del 2013 si inserisce in un sistema coordinato di regolatori del sistema finanziario introdotto nel 2010 che non prefigurava in alcun modo lo sviluppo successivo.
Per esempio si potrebbe pensare di restituire alla Banca centrale europea il suo ruolo originario di garante della stabilità monetaria e accorpando in una nuova autorità le funzioni di vigilanza e le funzioni di regolazione attualmente attribuite all’Autorità bancaria europea.
L’Autorità bancaria europea, che esercita i propri poteri nei confronti di tutti gli Stati membri, e la Banca centrale europea titolare delle nuove funzioni di vigilanza soltanto nei confronti degli Stati membri dell’area Euro, non sono infatti allineate quanto a estensione del loro ambito di intervento, ciò appunto perché il perimetro del mercato unico non coincide con quello della moneta unica.
In ogni caso, per poter esprimere una valutazione più completa del nuovo assetto, occorrerà attendere che vengano messe in opera in modo definitivo le altre componenti della Banking Union le quali innescheranno dinamiche di cambiamento i cui esiti sono difficili da prevedere.
Su tutti questi scenari pesa peraltro la tensione, non risolta in modo convincente neppure dal Regolamento, tra Stati membri dell’area euro e Stati membri che hanno mantenuto la propria moneta. Moneta e credito, che nella storia delle legislazioni bancarie sono state sempre intimamente connesse, stentano a trovare una disciplina armonica in un’Europa a più cerchi.