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Perché non sono d’accordo con Ignazio Visco

A margine della sua dotta Lettura al Mulino Ignazio Visco ha detto che chi critica l’Europa la scruta dagli specchietti retrovisori. Poiché ho visto la strada che andava prendendo l’Europa di Maastricht dal parabrezza anteriore a fianco del guidatore ho subito avvertito che si stava edificando un’Europa dai piedi di argilla e ho affidato la mia valutazione a uno scritto nella Collana Scheiwiller intitolata non a caso “Quadrare il cerchio”.

Oggi non posso osservare l’Europa neanche dal finestrino del passeggero, come Ignazio Visco, ma non trovo disdicevole osservarla anche dallo specchietto retrovisore, conscio che una buona guida richiede di guardare da diversi punti di vista perché, se non lo si fa, si rischia di incorrere in gravi incidenti di percorso. Visco, che è tra i responsabili dell’attuale situazione, non può permettersi di trattare in questo modo chi argomenta razionalmente sullo stato precario della costruzione europea; lui stesso l’ha fatto quando, sulla scia di Carlo Azeglio Ciampi, ha ammesso che l’UE è affetta da “zoppia”, non avendo proceduto nell’unica direzione che potrebbe mettere in salvo l’euro: l’unione politica. L’assenza di progressi in tal senso è un cancro o una malattia curabile? Visco non si può disfare del problema tentando di ridicolizzare con una battuta chi non pensa che gli accordi europei che si sono susseguiti e quelli in attuazione, come il fiscal compact, possano portare l’Italia fuori dalla grave crisi in cui è caduta.

Fin qui ho parlato dello stile della casa che mi ha educato. Pur rinunciando al sottofondo musicale di Bob Dylan, la mia considerazione della sostanza del problema, che Visco deve affrontare, è in che modo l’UE possa contribuire a risolvere i problemi del Paese: costringendoci a seguire la sua politica economica? Togliendoci la sovranità residua? Ho già speso energie per argomentare che questa Europa non è in condizioni, perché non vuole, di affrontare i dualismi esistenti. Non ha né acquisito il prestigio per affermare che è capace di gestire meglio le deleghe di sovranità nazionale, né dimostrato di avere una visione democratica della società. Entrambe condizioni necessarie. Nella diagnosi di Visco e della BCE vi è un vizio logico che tentano ora di correggere per allontanare l’accusa di corresponsabilità della crisi. Troppo tardi hanno ammesso che il problema era una carenza di domanda aggregata. I ritardi di diagnosi hanno avuto effetti disastrosi. Ammesso ora che esiste un grave problema di domanda, Visco, con Draghi, non ne trae le conseguenze e si accoda alla versione ufficiale che la crisi si corregge con le riforme, ossia operando sull’offerta. Questo equilibrismo politico può essere oggetto di un esercizio teorico in un’ala universitaria, ma non nel mondo reale che richiede di comprendere quali strumenti vengono applicati ai due obiettivi delle carenze di domanda e di offerta, possibilmente indicando l’ordine di importanza anche temporale tra i due. Non basta dire oggi che la politica monetaria darà più soldi sapendo (e dichiarando di sapere) che non stimoleranno l’economia perché manca la domanda a causa delle riforme incomplete, perché la catena logica del ragionamento risulta sconnessa.

La BCE è caduta nella trappola della liquidità, la condizione peggiore in cui si può venire a trovare una banca centrale, avendo perso il legame con gli andamenti del reddito e dell’occupazione a causa dei ritardi di diagnosi e di scelta. Essa non ha più spazio né nei tassi dell’interesse, né nella quantità e nei canali di creazione di base monetaria da creare per stimolare l’economia. In breve ha fallito al suo compito. Da tempo insisto che la BCE ha uno statuto inadatto ai cambiamenti epocali di cui ha parlato Visco al Mulino di Bologna, con un solo obiettivo, l’inflazione, e un solo strumento, il finanziamento alle banche; le altre banche centrali che contano hanno due obiettivi e tre strumenti. In particolare di curare lo sviluppo in parallelo con l’inflazione e di intervenire acquistando titoli di Stato, che la Bundesbank fa regolarmente, e intervenire sul cambio, potere che non ha. Non ha quindi la possibilità di operare sulle due variabili strategiche dello sviluppo moderno.

Visco ha mai chiesto di ampliare lo Statuto BCE? Eppure sarebbe suo compito farlo. Preferisce mettersi sul solco europeo del blocco del disavanzo pubblico, del rientro dal rapporto debito pubblico/PIL, della riforma della PA e del mercato del lavoro che non sono certo le politiche urgenti di rilancio della domanda e non fanno uscire la politica monetaria dalla trappola della liquidità in cui è caduta.


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