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La raffinazione italiana e la sicurezza degli approvvigionamenti

I grandi cambiamenti che hanno attraversato l’industria della raffinazione mondiale hanno “modificato equilibri consolidati” portando ad una situazione di forte surplus di capacità di raffinazione “che dovrà essere riassorbito nei prossimi anni, in particolare in Europa dove negli ultimi cinque anni si è concentrata la metà delle chiusure avvenute a livello mondiale”. “Questi cambiamenti sono avvenuti ad una velocità superiore alla capacità dell’industria di rispondere in tempi adeguati alle novità”, con il risultato che, nonostante le chiusure avvenute ed attese, “l’industria della raffinazione europea presenta ancora un deciso sbilanciamento tra l’andamento della domanda e dell’offerta” che determina “una crescente dipendenza dai flussi commerciali esteri di prodotti petroliferi”.

LE PREVISIONI DI RAZIONALIZZAZIONE IN EUROPA

Ad aggravare la situazione sono gli “effetti potenzialmente dirompenti […] della concorrenza, spesso «sleale», con i nuovi impianti realizzati o in fase di completamento nelle aree del Medio e dell’Estremo Oriente […] che per il momento sono orientate soprattutto alle esportazioni” e beneficiano di ingenti sussidi statali, di “ridotti vincoli ambientali e sociali” e di “un costo dell’energia molto basso” che alterano “i rapporti di competitività con l’industria petrolifera europea […] sia sul mercato interno che […] verso i mercati americani”.

IL FUTURO DELLA RAFFINAZIONE IN ITALIA

In questo contesto, l’industria della raffinazione italiana si trova ad aver “investito decine di miliardi di euro nel decennio passato per adeguare la propria struttura alle mutate esigenze del mercato, al miglioramento delle caratteristiche qualitative dei prodotti e alle rigide prescrizioni ambientali della legislazione comunitaria”. Solo in quest’ultimo frangente, il sistema petrolifero nazionale ha investito oltre 10 mld. euro che gli hanno consentito “di produrre combustibili di altissima qualità con un impatto ambientale […] tra i più bassi in assoluto”. “Tuttavia la situazione del mercato attuale e le prospettive future non consentono di escludere un rischio potenziale per tutte le raffinerie italiane, anche quelle tecnologicamente più avanzate”.

L’IMPATTO DELLA LEGISLAZIONE EUROPEA

Secondo lo studio, “le raffinerie nazionali si trovano ad affrontare notevoli investimenti e un aumento significativo dei costi operativi per soddisfare le nuove richieste in materia ambientale […], pari a 3 mld. euro entro il 2020 e altri oneri pari a 4 mld. euro per i costi operativi” che l’industria oggi non è in grado di sostenere e ai quali vanno sommati oneri addizionali connessi alla burocrazia ed ai maggiori costi dell’energia italiana per 1,5 mld. euro.

Oneri previsti azzerare i risultati operativi delle raffinerie con il risultato “che nessuna industria potrà sostenere il peso degli investimenti […] e molti impianti saranno costretti a chiudere”. Sotto tali condizioni, infatti, “solo 5 delle attuali 12 raffinerie operative in Italia” sono in grado di conseguire “un risultato operativo positivo nel lungo termine […] comunque in condizioni di bassi ritorni sugli investimenti”, mentre “il 60% della capacità sarebbe destinata a chiudere” rendendo l’Italia “un importatore netto di tutti i prodotti della raffinazione” con un elevato grado di dipendenza dal mercato internazionale extra-UE. In un simile scenario, “la sicurezza degli approvvigionamenti sarebbe di fatto affidata a prodotti provenienti da aree storicamente caratterizzate da problemi di instabilità politica”, come Medio Oriente e CIS, “per poi competere con le economie emergenti, quali Asia e India”.

Una riorganizzazione, infine, non priva di costi interni, per via degli ingenti investimenti necessari “per adattare le infrastrutture logistiche […] alle massicce importazioni dei prodotti finiti”, e dal considerevole impatto ambientale, in quanto far produrre all’estero i prodotti da consumare in Italia “equivarrebbe ad «esportare» i problemi ambientali, perdendo i vantaggi di avere un’industria domestica altamente qualificata, efficiente e con un’adeguata forza lavoro”.

LE IPOTESI DI INTERVENTO

A conclusione, Del Manso e D’Aloisi evidenziano quindi la necessità di “misure straordinarie per continuare ad assicurare l’operatività” del settore come: esentare “l’energia prodotta ed autoconsumata all’interno della raffineria” da determinati oneri di sistema; “adottare procedure semplificate per rilasciare aiuti di Stato per gli investimenti di carattere ambientale e di efficientamento energetico; “semplificare le procedure per il rilascio dei permessi e per la concessione del credito per gli investimenti nelle raffinerie”; “semplificare le procedure per il rilascio delle autorizzazioni necessarie alle raffinerie per operare quotidianamente”; “prevedere procedure tali da non creare barriere alla chiusura, soprattutto in relazione alle normative sulle bonifiche”; “ridurre gli oneri derivanti dalle tasse portuali

Trovi l’articolo completo sul numero 3.2014 della Rivista Energia



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