La situazione delle carceri italiane può essere analizzata da diversi punti di vista. Il primo ovviamente è quello per cui la violazione della legalità e dello stato di diritto, da parte e all’interno del nostro sistema giudiziario, genera diverse conseguenze negative tra cui il sovraffollamento degli istituti penitenziari. C’è poi un approccio meramente umanitario che guarda alle condizioni dei detenuti. Infine, indicazioni utili possono venire dall’applicazione dei principi dell’economia di mercato all’universo carcerario. E quest’ultimo è un approccio finora sottovalutato.
Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia nel 2001, già consigliere economico del presidente democratico degli Stati Uniti Bill Clinton, scrive tra l’altro: “Le economie di mercato forniscono informazioni e incentivi attraverso i prezzi, i profitti e i diritti di proprietà”. I prezzi forniscono informazioni circa la scarsità relativa dei diversi beni. Il sistema dei prezzi assicura che i beni siano attribuiti a quegli individui o a quelle imprese che ne hanno maggior desiderio, e che sono maggiormente in grado di pagare per essi. I prezzi quindi convogliano verso le imprese le informazioni relative a quanto gli individui valutano i diversi beni. Poi il desiderio di realizzare profitti induce le imprese a rispondere alle informazioni che arrivano dai prezzi. Esse rendono massimi i profitti se riescono a produrre ciò che i consumatori desiderano e se riescono a farlo nel modo più efficiente. Allo stesso modo anche i consumatori rispondono ai prezzi. Comprano per esempio i beni che sono più costosi soltanto nella misura in cui questi beni comportano benefici proporzionalmente maggiori. “Affinché però la motivazione del profitto sia efficace – scrive Stiglitz – dev’essere possibile per le imprese trattenere almeno una parte di quei profitti. Per le famiglie d’altro canto deve essere possibile ottenere almeno una parte di ciò che hanno guadagnato o ricevuto come rendimento dei loro investimenti. In altre parole devono esistere la proprietà privata e i diritti di proprietà a essa connessi”. Ecco cosa intende Stiglitz quando dice che “le economie di mercato forniscono informazioni e incentivi attraverso i prezzi, i profitti e i diritti di proprietà”.
Poi ovviamente esistono dei vincoli che limitano le scelte. Parliamo, nella nostra vita quotidiana, di vincoli di bilancio e vincoli di tempo. questi vincoli valgono anche per le imprese, ne definiscono le “possibilità di produzione”.
Questi princìpi piuttosto basilari si applicano anche al mondo carcerario, almeno lì dove agli operatori di mercato è consentito muoversi. Quindi non ancora in Italia, ma sì negli Stati Uniti, dove da anni gli operatori privati possono concorrere, attraverso bandi pubblici, alla costruzione e alla gestione degli istituti penitenziari.
Per questo è da lì che la scorsa settimana è venuta un’indicazione interessante, riportata dal Wall Street Journal. In particolare le parole di Damon Hininger, amministratore delegato di Corrections Corporation of America (CCA). Corrections Corporation of America è la più grande società privata che si occupa di istituti penitenziaria: gestisce 60 carceri, ha 15mila dipendenti e sotto la sua responsabilità ha 70mila detenuti. 70 mila detenuti su oltre 2 milioni di detenuti in tutti gli Stati Uniti, ma una cifra comunque considerevole visto che in Italia i detenuti sono appena sotto le 60mila persone. Hininger in questa intervista ha spiegato che dagli Stati con cui la sua società ha stipulato dei contratti arrivano negli ultimi anni due indicazioni: la richiesta di risparmiare i soldi del contribuente e quella di diminuire il sovraffollamento. Per l’operatore privato compaiono dunque vincoli di bilancio e operativi. Lui risponde – e questo è interessante – che il modo più efficiente per andare incontro a queste richieste è aggredire la recidiva. (In diritto penale, la ricaduta nel reato di una persona già in precedenza condannata con sentenza o decreto irrevocabile). La recidiva è un problema in Italia ma anche negli Stati Uniti. Infatti uno studio del Dipartimento di Giustizia, su dati che vanno dal 2005 al 2010, dimostra che su ogni 4 detenuti che escono da un carcere americano, 3 sono reincarnerai nel giro di 5 anni.
Hininger sostiene che aggredire la recidiva si può fare in un unico modo: incrementando le possibilità di formazione e di lavoro per i detenuti, non solo all’interno degli istituti. Il Wall Street Journal in proposito cita uno studio della Rand Corporation sul tema. Secondo il think tank, spendere 140mila-174mila dollari su programmi educativi per 100 ipotetici detenuti farebbe risparmiare 1 milione di dollari in tre anni per i mancati costi di re-incarcerazione.
E’ interessante il fatto che un operatore privato, ragionando in base ai meccanismi visti prima – cioè prezzi, profitti, diritti di proprietà, con l’aggiunta di vincoli dall’esterno – arriva di fatto a una soluzione che collima quasi alla lettera con il dettato costituzionale sulla “rieducazione” del condannato. L’articolo 27 della Costituzione italiana recita infatti che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. E la rieducazione del condannato è esattamente la soluzione che il più grande gestore privato di carceri negli Stati Uniti intende adottare per rispondere alle esigenze di finanza pubblica e di rispetto dei diritti umani di quel Paese.