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Tutte le sbandate dell’Italia sul debito

Il governo Renzi si è accorto che il rigore a tutti i costi sta portando l’economia italiana al collasso ed ha quindi allentato la stretta sui conti senza affrontare il problema di fondo: il debito pubblico continua a crescere anno dopo anno, invece di ridursi. Ciò che preoccupa nell’aggiornamento del Def non è tanto che il deficit congiunturale salge nel 2015 al 2,9% del Pil, rispetto al 2,2% previsto in precedenza: la situazione economica è talmente critica che è meglio sfruttare tutti i margini di flessibilità consentiti dal Fiscal Compact. Il fatto è che viene ridotto anche il saldo primario, l’attivo del bilancio calcolato al netto degli interessi, che nel quadro programmatico per il 2015 passa dal 2,3% del Pil all’1,6%. In totale, rispetto a marzo scorso, è stata evitata una stretta di almeno un punto e mezzo di Pil, almeno 20 miliardi di euro.

Si rimette un po’ tutto in discussione, visto che anche il pareggio strutturale viene rinviato al 2017, limitando la correzione ad appena un decimo di punto percentuale di pil: appena 1,5 miliardi di euro. Quel tanto che basta per far vedere che la direzione intrapresa è quella giusta, anche se il miglioramento è impercettibile. Non stupisce neppure la cautela dimostrata per quanto riguarda la crescita nel 2015: appena +0,6% rispetto al +1,7% previsto nel Def approvato a marzo scorso. Una frenata anche qui, visto che si prevedeva addirittura un +1,8% nel 2016 ed un +1,9% nel 2019. La parola d’ordine è prudenza.

Non è invece assolutamente chiara, almeno sulla base dei dati disponibili, la strategia per la riduzione del debito pubblico: rispetto al 131,6% di quest’anno, l’obiettivo per il 2015 è di passare al 133,4%. Nessuna riduzione, il rapporto sul Pil cresce ancora. E’ in discussione la chiave di volta della strategia di riduzione del debito pubblico costruita sin dal Governo Monti: nel Def 2013, infatti, si stimava che quest’anno l’avanzo primario sarebbe stato addirittura pari al 5,7% del pil, un ammontare superiore al costo degli interessi, che avrebbe contribuito al rimborso del debito. L’avanzo primario del 2014 è stato appena dell’1,7%: ben 4 punti in meno. Un po’ alla volta, sono saltati anche gli altri due conci che sostenevano l’arco del risanamento finanziario: l’obiettivo del pareggio strutturale è stato allontanato nel tempo, perché le manovre adottate hanno avuto un effetto fortemente depressivo sull’economia; la crescita nominale del Pil, pari almeno al 3% annuo (inflazione al 2% e crescita reale di almeno l’1%) è rimasta una chimera.

La Francia ha dichiarato di voler abbandonare il gioco al massacro del rigore a tutti i costi: è di ieri la notizia che manterrà il deficit di bilancio al 4% del Pil, finchè la crisi non sarà passata. Un modo chiaro per dire addio al Fiscal Compact, aprendo un conflitto politico con la Commissione che infatti ha già replicato duramente. Il governo Renzi ha fatto di tutto, invece, per rispettare il Trattato, sfruttando a pieno le clausole di flessibilità: solo il debito pubblico è rimasto fuori, come sempre. E’ la solita corda al collo, cui siamo appesi da anni.

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