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Vi racconto Paolo VI. Parla il cardinale Cottier

Novantadue anni compiuti in primavera e portati benissimo, il cardinale svizzero Georges Cottier è stato uno dei più importanti teologi degli ultimi decenni. Frate domenicano, creato cardinale nel 2003 da Papa Giovanni Paolo II, esperto di ateismo e marxismo, Cottier è stato a lungo teologo della Prefettura della Casa Pontificia, dal 1989 al 2005. Un nome, quello di Cottier, che inizia a farsi conoscere nel corso del Concilio Vaticano II, al quale partecipa prima come esperto privato e, successivamente, come esperto ufficiale del Concilio. Ed è proprio in quella occasione che il fine teologo domenicano entra in contatto con l’allora pontefice Paolo VI. Formiche.net ha incontrato il cardinale Cottier per conoscere più da vicino la figura di Paolo VI, beatificato questa mattina da Papa Francesco.

Eminenza, chi era veramente Paolo VI? Un uomo chiuso e dubbioso, o semplicemente riflessivo e saggio?
Paolo VI era un uomo che meditava molto, che faceva maturare lentamente le sue decisioni. E’ in questo senso, quindi, che è possibile dire che Papa Montini non fosse spontaneo. Ma una volta presa una decisione, non la lasciava più. Era fermissimo. Prima di decidere ascoltava tutti, studiava a fondo ogni aspetto della questione e, soprattutto, pregava molto. Aveva un grande rispetto verso gli altri, tanto che nel corso del Concilio ha lasciato a tutti la libertà di parlare.

Per quale motivo, secondo lei, il suo pontificato è così mal compreso? E’ inutile negare che la sua “popolarità” non è certo pari a quella dei Giovanni XXIII o Giovanni Paolo II.
Direi essenzialmente per due motivi fondamentali. In primo luogo, la sua enciclica Humanae Vitae. La gente, infatti, non l’ha capita. Ma, soprattutto, neanche i vescovi ed il clero l’hanno compresa a fondo e non sono quindi riusciti a trovare la maniera pastorale per comunicarla. Inoltre, la situazione dell’immediato post-concilio non ha certo facilitato la comprensione di Paolo VI. La crisi del 1968, anticipata dalla tensione con monsignor Lefebvre e dai contrasti interni al cattolicesimo olandese, è stata una crisi di società con forti ripercussioni sulla Chiesa stessa. E’ stato un momento durissimo, al quale però Paolo VI ha reagito molto bene.

Quali sono stati i passaggi fondamentali del suo pontificato?
Innanzitutto il suo merito più grande è stato quello di continuare il Concilio indetto dal suo predecessore, Giovanni XXIII. Una scelta non del tutto scontata e molto lungimirante. Con la splendida enciclica “Ecclesiam Suam” Papa Montini ha poi posto l’attenzione sull’attualità della Chiesa e sulle vie con cui essa dovesse attendere al suo mandato. Infine, Paolo VI è stato un grande apostolo della pace. Ricordo ancora con grande emozione il suo discorso alle Nazioni Unite e la sua decisione di istituire, per il 1 gennaio di ogni anno, la festa di Maria Santissima con l’intenzione della pace. Da qui, ogni anno, il messaggio sulla pace che è sempre più divenuto un contributo dottrinario significativo in tema di pace. E’ qui che trova le sue origini lo spirito di Assisi.

Paolo VI, ovvero colui che ha voluto il Sinodo, verrà beatificato proprio in occasione della chiusura del Sinodo straordinario sulla famiglia. Era questa l’idea di Sinodo che aveva?
Paolo VI ha pensato alla realtà del Sinodo ma è chiaro, ed anche auspicabile, che se una istituzione è viva, essa si modifica nel tempo. Papa Montini ne ha individuato la struttura fondamentale ma di certo non ha previsto come essa avrebbe dovuto evolversi. Il Sinodo fortunatamente non ha mai cessato di esistere e, anche grazie a Papa Francesco, sta diventando sempre più importante. Paolo VI ha lanciato il germe, che cresce e non dà subito i frutti.

Come reagirebbe Paolo VI, ovvero il Papa che ha resistito a quanti spingevano per l’uso della pillola abortiva, dinanzi alle aperture della Chiesa odierna verso gli omosessuali e verso i divorziati risposati?
Pregherebbe, molto. E soprattutto reagirebbe come qualcuno fa anche oggi, ovvero con una grande attenzione verso la persona. Anche una volta divenuto Papa, Paolo VI è stato sempre molto fedele alle proprie amicizie, come dimostra il caso Moro. Per lui, infatti, suo grande amico, Montini è persino arrivato a offrire la propria vita per ottenerne la salvezza. Ecco, posso dirle che sicuramente, per quello che era il suo temperamento, avrebbe riflettuto molto su queste questioni così importanti per la vita della Chiesa.

Un’ultima domanda, Eminenza. Lei ha definito, in passato, Paolo Vi come il “vero regista” del Concilio Vaticano II. Non si rischia in questo modo di sminuire il ruolo di Giovanni XXIII?
La prima sessione del Concilio fu molto difficile, con tante esitazioni e critiche. Non era quindi certo che sarebbe stato prolungato. E’ Paolo VI che ha dettato la linea di azione del Concilio, nel pieno rispetto della libertà dei padri, la sua condotta e la sua struttura di lavoro. Credo che questo sia stato il grande merito di Paolo VI. Se l’idea del Concilio è di Giovanni XXIII, è a Paolo VI che si deve la sua realizzazione pratica. Ecco, direi che Paolo VI è stato il grande artigiano del Concilio. Anche perché la chiusura del Concilio, non ha significato anche la chiusura del suo spirito e l’oblio delle sue decisioni.

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